La maturità ha un secolo
Le norme al ribasso

Compie 99 anni e li dimostra, ma continua a tenere banco e fa discutere. L’esame di maturità ha visto la luce con la riforma di Giovanni Gentile nel 1923, come conclusione di percorsi scolastici ben pianificati, rispondenti alle esigenze del tempo. La prima modifica si ebbe nel 1969: sull’onda lunga delle rivendicazioni sessantottine, il ministro Fiorentino Sullo lo ridusse a due scritti con due materie orali, voto in sessantesimi e liberazione degli accessi universitari: ogni diplomato può iscriversi a qualsiasi corso di laurea. Altro ritocco, quello del ministro Enrico Berlinguer nel 1997: diede il via ai crediti scolastici, a tre scritti e un orale con le discipline dell’ultimo anno; commissione mista e voti in centesimi. Tutti i ministri successivi, l’attuale Patrizio Bianchi ben compreso, hanno introdotto di anno in anno, variazioni e modalità senza mai pervenire a una regolamentazione definitiva.

La pandemia ha introdotto ulteriori turbative, con manifestazioni di protesta della base, dai toni esacerbati: «Gli immaturi siete voi!» recava uno slogan degli studenti in piazza contro la recente circolare. Cinquecentomila giovani in affanno, in una nazione che numericamente ha cessato di crescere.

A margine di tali, talvolta scomposte proteste, ma anche in linea di principio, resta da chiedersi se abbia ancora ragion d’essere una prova di Stato che tende a promuovere tutti o quasi, le cui normative cambiano ogni anno e che risulta poi ininfluente sul futuro degli interessati.

In sostituzione, con un normale scrutinio, i docenti di classe che hanno accompagnato negli anni i maturandi, non potrebbero meglio pronunciarsi e con piena cognizione di causa? Abbandonando ogni ritualità, a conclusione di anni scolastici da dimenticare (vedi le recenti prove Invalsi). Chiedendo (questo sì) al collegio docenti anche una indicazione orientativa per alunno in rapporto al suo avvenire, di fronte al quale i maturati sono lasciati soli per una scelta che condiziona non soltanto il futuro individuale, ma, nel suo insieme, determina il divenire della società. In nazioni di grandi prospettive come Cina e Giappone, l’85% delle iscrizioni universitarie avviene su mirate proposte scolastiche che tengono conto delle esigenze sul campo oltre, ovviamente, alle propensioni dei singoli candidati. L’utile e il dilettevole opportunamente coniugati.

In un momento di crisi economiche acute, oltre all’azzeramento dei costi per l’obsoleta messa in scena il cui inizio è previsto il 22 giugno prossimo, anche per rimediare gli squilibri sociali in atto che evidenziano palesi carenze orientative di base, come, ad esempio, sta clamorosamente dimostrando l’insufficienza della classe medica.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel discorso per il secondo mandato, ha sottolineato l’importanza primaria della scuola per la ripresa della nazione. Gliene siamo grati in attesa che l’autorevole richiamo si traduca in serie iniziative, rispondenti alle esigenze della nazione e dei giovani in particolare. L’istruzione non può essere una moda che cambia con il volgere delle stagioni: è l’ossigeno indispensabile di ogni ordinata e prospera società.

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