La maturità oltre i numeri: serve più d’una cosmesi

Uno studente bergamasco su tre (29,9%) è uscito dagli esami di Stato con un voto tra 71 e 80. In Lombardia la percentuale è del 29,5. In Campania del 25,7, in Sicilia del 24,9, in Puglia del 23,8 e i Calabria del 22,5. In queste regioni, però, la percentuale dei voti da 80 a 100 è superiore, e non di poco, a quella lombarda. I 100 a Bergamo sono stati il 6,4% (i più numerosi al Liceo Europeo e al Classico seguiti dallo Scientifico). Fa peggio solo Como. La percentuale lombarda più alta di 100 si è registrata a Lodi.

Gli studenti della provincia usciti con il minimo (60 punti) sono il 4,4%. La media lombarda è del 4,7%. Sondrio con il 2,8% il dato peggiore. A livello nazionale la media è 4,8%. Se si considera la percentuale dei punteggi da 60 a 100 ai primi posti si trovano sempre Calabria, Puglia, Sicilia e Campania. Agli ultimi la Lombardia.

Interessante il numero delle lodi: solo l’1,6% dei diplomati bergamaschi. Percentuale simile alla media lombarda: 1,5%. Ma in Calabria è del 6,6%, in Puglia il 6,3%, in Sicilia il 4,8% e in Campania il 4,1%. Nel 2007, in nome del riconoscimento del merito scolastico, il ministro Fioroni dispose di distribuire 1000 euro di premio a chiunque l’avesse ottenuta. Poiché i fondi a bilancio da allora non sono più stati aggiornati, mentre le lodi sono aumentate, nel 2010 gli euro disponibili per studente con lode erano scesi a 600, nel 2011 a 500, nel 2019 a 255, nel 2020 a 140. Quest’anno ben sotto i 100 euro. Inflazione delle lodi (come delle votazioni generose agli esami finali)? Sono i bergamaschi e i lombardi ad essere meno meritevoli dei coetanei del Sud?

L’interrogativo serve per prendere le distanze dai numeri. Spesso, infatti, le statistiche, danno in realtà soltanto i numeri. Se andiamo infatti a vedere le analisi dell’Invalsi 2022 verifichiamo realtà sconsolanti. La dispersione esplicita (mancato conseguimento del diploma) dei giovani italiani è del 13,5%. Più preoccupante è la dispersione implicita, come la definisce l’Invalsi. Riguarda gli studenti che, pur ottenendo il diploma, non possiedono nelle tre aree indagate (italiano, matematica, inglese) competenze di livello accettabile, cioè il livello 3 su una scala di 5. Secondo l’Invalsi questi dispersi «impliciti», che erano il 7,5% nel 2019, sono saliti al 9,8% nel 2021 anche a causa delle difficoltà provocate dalla didattica a distanza, per attestarsi al 9,7% nel 2022. La percentuale di insufficienti in italiano è, però, del 48% in quinta superiore. Analogamente in matematica non arrivano al livello minimo il 50% degli studenti. Con vistose differenze territoriali, tuttavia: al Nord i risultati sono dignitosi, al Sud e isole, purtroppo, penosi (qui la maggioranza non se la cava affatto).

Commentare senza ipocrisie l’esame di Stato è come voler parlare male di Garibaldi. Il politicamente corretto non lo sopporta. E ancora di più non lo sopporta chi vive felice nel Truman show mediatico che lo accompagna ormai da così tanti anni.

In effetti, gli antropologi culturali ci hanno avvertito da un secolo (ma lo si sapeva dai tempi dell’antichità classica) che non può esistere una società senza riti di passaggio che segnano la transizione dall’età giovanile a quella adulta. Viene il dubbio, però, che la nostra società non stia proprio bene se l’unico rito di passaggio riconosciuto dal sentire comune di famiglie e mass media per i giovani sono gli esami di Stato. Tutte le culture del mondo sanno che questi riti dovrebbero essere prove severe, davvero dimostrazione di maturità umana. Noi, per non avere problemi, abbiamo addirittura eliminato questo termine dal vocabolario amministrativo e scolastico: dal 1997 non ci sono più gli «esami di maturità», ma, appunto, solo «gli esami di Stato». La crisi di questa formula era quindi già evidente nel secolo scorso.

Non a caso il compianto Aldo Visalberghi nel 1974 aveva fatto istituire dal ministro Malfatti il Cede, il Centro Europeo dell’Educazione, l’antesignano dell’attuale Invalsi, fondato nel 1999. Lo scopo era fornire ai politici elementi per introdurre la qualità nell’istruzione non i dati statistici per i mass media. Sono quindi almeno 25 anni che si conoscono le debolezze degli esami di Stato e si è consapevoli dei loro problemi. Ma siamo al punto di partenza, nonostante tutte le cosmesi che ogni ministro si è inventato per lasciare il segno del suo passaggio nella storia. Nessun intervento strutturale.

Si aprirà ad ottobre una nuova legislatura. C’è da sperare che non continui a curare una gravissima polmonite con amorevoli bagni caldi. La scuola italiana è un processo al 50% fallimentare. Un cinico la definirebbe una fabbrica dell’ignoranza. Non si può andare avanti in questo modo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA