La politica estera italiana si riallinea

ITALIA. Forse Giorgia Meloni si aspettava qualche parola più generosa quando Donald Trump, in diretta tv, dando la parola prima a Zelensky e poi ai vari leader europei riuniti alla Casa Bianca, l’ha anticipata parlando di una leader giovane che mostra di «riuscire a durare».

Non è emerso, in quelle parole, il ruolo di «pontiere» tra Usa e Ue che il governo italiano si era intestato alla rielezione di Trump. Ma Meloni non è persona che si dà facilmente per vinta che si intimidisce anche di fronte a «Donald», e per questa ragione nel suo breve intervento ha ricordato che la proposta più concreta sul tavolo per garantire la sicurezza dell’Ucraina nel momento in cui si arrivasse ad un cessate il fuoco o, meglio ancora, ad una pace duratura, è proprio quella formulata dall’Italia, e cioè un meccanismo automatico di difesa di Kiev da parte della Nato secondo l’articolo 5 del suo Statuto anche se gli ucraini non dovessero formalmente entrare nell’Alleanza (come preteso da Putin). Una estensione della tutela che tutti i Paesi aderenti automaticamente garantiscono ad uno di loro in caso di attacco, verrebbe così a «coprire» la sicurezza ucraina di fronte alla Russia, il Paese invasore, il Paese che negli ultimi decenni non ha mai tenuto fede ad un impegno preso - a cominciare da quello, preso alla caduta dell’Urss, di non invadere mai proprio l’Ucraina in cambio della dismissione dell’arsenale nucleare rimasta in dotazione a Kiev.

Il ruolo dell’Italia

Ricordando che di una proposta italiana si parla, Meloni ha rivendicato un ruolo attivo dell’Italia in faccia al presidente Macron che invece ritiene quella proposta non sufficientemente concreta per mettere in sicurezza la sovranità ucraina (nonostante che gli Stati Uniti si siano dichiarati favorevoli) preferendo un intervento diretto, sul terreno, di soldati europei nel momento in cui i cannoni russi e ucraini smettessero di tuonare. Su quest’ultimo punto l’Italia sin dall’inizio non è stata d’accordo con i Paesi «Volenterosi», soprattutto Francia e Gran Bretagna, e per questa ragione per lunghe settimane Meloni è stata esclusa su impulso di Macron da riunioni importanti (clamorosa l’assenza della presidente del Consiglio dal summit in Albania in maggio quando Macron, Starmer, Merz e Tusk incontrarono Zelensky e si misero in contatto telefonico con Trump). È difficile capire se quella iniziale divergenza persista ancora da parte di Roma (come affrontare la Lega e i pacifisti?) ma è un fatto che Meloni si sia avvicinata al gruppo dei Volenterosi, tant’è che ha preso parte agli incontri preparatori proprio del vertice di Washington di ieri. Un’unica condizione ha posto: di lavorare tutti insieme con gli Stati Uniti, ma questo non appare più un vero ostacolo, almeno a giudicare dall’atmosfera che ieri sera tutto il mondo ha potuto constatare in diretta televisiva dalla Casa Bianca.

Nel suo breve intervento Meloni ha ricordato che la proposta più concreta sul tavolo per garantire la sicurezza dell’Ucraina nel momento in cui si arrivasse ad un cessate il fuoco o, meglio ancora, ad una pace duratura, è proprio quella formulata dall’Italia: un meccanismo automatico di difesa di Kiev da parte della Nato

In conclusione dunque possiamo registrare questo riallineamento della politica estera italiana, un avvicinamento alle posizioni europee - al netto delle costanti frizioni con Macron - e un minor rilievo all’ambizione di fare da mediatori tra l’Ue e gli Usa di Trump. Resta una forte sintonia politica con il presidente americano ma temperata dalla acquisita consapevolezza che l’Italia è una media potenza regionale che, se vuole giocare un ruolo, non può distaccarsi oltre una certa misura dall’Unione europea. Del resto il buon approccio internazionale di Meloni con Bruxelles e con la Casa Bianca già ai tempi di Biden è stato fondamentale per far accettare agli alleati l’avvio del governo più spostato a destra, con dentro componenti no-euro e filo-putiniane, di tutta la storia italiana dal secondo Dopoguerra a oggi.

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