La Riforma del fisco
deve essere
organica

Tassa sull’eredità, flat tax rigorosamente ad aliquota unica, pace fiscale di un anno, patrimoniale immobiliare, web tax rafforzata… In questi giorni, in Italia, ciascun partito politico ha ricominciato a cavalcare le proprie idee-manifesto in materia di riforma fiscale. Atteggiamento legittimo ma che sta generando una cacofonia di proposte, brandite in maniera contundente per accrescere nel breve termine il proprio «reddito politico» (come lo definì James M. Buchanan, premio Nobel per l’Economia) più che per tutelare il reddito reale dei contribuenti. Tuttavia gli stessi partiti farebbero bene, pur senza rinnegare le proprie idee, a non perdere di vista il «metodo» riformatore proposto dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, fin dall’insediamento dell’attuale Governo.

Nelle sue dichiarazioni programmatiche, approvate a larghissima maggioranza dal Parlamento lo scorso febbraio, Draghi citò proprio il tema del fisco per osservare che negli ultimi anni i tentativi di riformare il Paese non sono stati del tutto assenti, ma troppo spesso si è proceduto «con interventi parziali dettati dall’urgenza del momento, senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza». Quanto al caso specifico del fisco, notò in quell’occasione Draghi, si tratta di «un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra», perciò - disse - «non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta». Nasce da qui il progetto del Governo di presentare, entro la fine dell’estate, una legge delega di riforma del fisco, preceduta da una riflessione preliminare di esperti del settore.

Sul punto, Draghi ha citato almeno due esempi. Il primo è quello della profonda riforma del fisco realizzata nel nostro Paese nel 1971, da cui nacque tra le altre cose l’Irpef, preceduta per volontà del Governo dalle analisi di una commissione di studiosi, fra i quali Bruno Visentini e Cesare Cosciani. Il secondo precedente è la riforma del fisco varata in Danimarca nel 2009: in quel caso l’esecutivo locale nominò, un anno prima, una Commissione ad hoc che incontrò partiti e parti sociali, per poi presentare le sue proposte al Parlamento in diretta televisiva.

Innovare nel «metodo» della riforma fiscale, prim’ancora che nel «merito» della stessa, non è affatto un atteggiamento pilatesco. Il Governo infatti punta a una graduale riduzione del carico fiscale, e non potrebbe essere altrimenti in un Paese con il cuneo fiscale sui lavoratori ormai al 48%, tra i più alti d’Europa, e con un salto eccessivo nell’aliquota marginale per il secondo e il terzo scaglione di reddito - dal 27% al 38% - che penalizza il ceto medio. Allo stesso tempo l’esecutivo ha l’obiettivo di «semplificare e razionalizzare» la struttura del prelievo: basti pensare che lo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, in una recente audizione parlamentare ha invitato a fare «piazza pulita» delle attuali 800 norme tributarie che rendono il nostro sistema fiscale di difficile interpretazione perfino per i professionisti del settore.

Alla luce di ciò, l’insistenza da parte di Draghi su un «intervento complessivo» e ponderato col contributo degli esperti, da preferire a interventi parziali, ha innanzitutto una ragione economica. Consente di evitare effetti inattesi e di non aggiungere squilibri indesiderati a un regime di tassazione che da tempo partorisce figli e figliastri (si pensi solo al divario tra lavoratori autonomi e dipendenti). Né la strada suggerita dall’ex governatore della Banca d’Italia e della Banca centrale europea è da considerarsi come il vezzo di un tecnocrate. Ci sono infatti anche ottime ragioni politiche per lavorare a una riforma organica del fisco: solo così si possono compensare vantaggi e svantaggi per i vari gruppi sociali che ogni riforma comporta (mettendo mano a detrazioni, aliquote), e resistere alle richieste particolaristiche dei gruppi di pressione. Una riforma di questo tipo non permetterebbe forse a ogni partito di sventolare la propria bandierina ideologica in faccia all’avversario politico, ma metterebbe al centro il contribuente e avrebbe il merito di non dissipare il clima di fiducia che - secondo l’Istat - si va finalmente ricostruendo in queste settimane in Italia tra consumatori e imprese.

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