La ripresa dell’export
bergamasco non è un caso

L’export bergamasco è tornato in corsa a dispetto delle previsioni raggiungendo un valore di poco superiore ai 12 miliardi. I dati Istat del terzo trimestre certificano l’aumento del 3,8% delle vendite di prodotti orobici oltreconfine, dato che permette di scrivere in campo positivo (+0,7%) la crescita delle nostre esportazioni nei primi nove mesi dell’anno. Un quadro che ha sorpreso gli stessi addetti ai lavori, pronti a fare i conti con un’ulteriore frenata dettata dalle difficoltà in cui ci si muove, in particolare la Germania alle alle prese con la fase di trasformazione dell’industria dell’auto, settore trainante del Paese.

Quello tedesco, infatti, continua ad essere il principale partner commerciale delle aziende orobiche con un valore che sfiora i 2 miliardi di euro malgrado il calo del 3,8% rispetto allo stesso periodo del 2018. Un mercato che resterà ancora a lungo punto di riferimento, non fosse altro per il forte legame della meccanica bergamasca con l’economia tedesca.

Un risultato positivo che, comunque, non arriva a caso, come dimostra un’indagine di Confindustria Bergamo sull’internazionalizzazione delle aziende associate. Negli ultimi anni l’approccio ai mercati esteri da parte degli imprenditori è cambiato. I ripetuti inviti alla diversificazione da parte delle associazioni imprenditoriali, di Camera di commercio e degli istituti di credito, sempre più partner strategici delle imprese che operano sui mercati internazionali, non sono caduti nel vuoto e oggi da Bergamo si guarda (e si affronta) il mondo a 360°. A farlo non solo i grandi nomi dell’industria orobica, ma anche le centinaia di piccole e medie prese che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema economico. Finora lo hanno fatto, con maggiore successo, quelle che si muovono in filiera, lasciando da parte il tradizionale individualismo, imparando spesso l’una dall’altra, per sfruttare meglio le economie di scala. Lo choc della crisi negli ultimi anni ha poi accelerato una crescita complessiva della cultura imprenditoriale, indispensabile oggi per muoversi in contesti internazionali così competitivi e volubili, come quelli con cui si misurano quotidianamente le nostre aziende.

Ma il futuro? L’ultimo rapporto Ice-Prometeia parla di un aumento del 2,4% su base annua del valore degli scambi internazionali per l’Italia nei prossimi due anni. Per il 2021 la crescita prevista è del 3,7%. Dati che fanno ben sperare, dopo la battuta d’arresto della prima parte del 2019 a causa delle turbolenze geopolitiche, in particolare dello scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina e delle incertezze legate alla Brexit. L’analisi di Ice-Prometeia, oltre alla ripresa delle importazioni dalla Cina, segnala come mercati attrattivi gli Usa (politiche protezionistiche di Trump permettendo), l’India, il Vietnam e i Paesi dell’Africa subsahariana che presentano tassi di crescita a doppia cifra nelle prospettive al 2021. Ed è proprio su questi mercati che stanno puntando con sempre maggiore convinzione i nostri imprenditori, come dimostrano i dati diffusi mercoledì dalla Camera di commercio.

Le prospettive, almeno sulla carta, non sembrano essere negative ma la partita da giocare è tutt’altro che facile. Gli ultimi indicatori evidenziano segnali di sofferenza per il manifatturiero orobico: tra le cause proprio la forte esposizione alle variabili dei mercati internazionali. Nei primi 9 mesi la produzione del settore metalmeccanico è infatti calata del 2,5% sull’anno precedente, -2,2% nel terzo trimestre 2019. A soffrire anche il mercato del lavoro, come ha segnalato anche l’indagine congiunturale di Federmeccanica.

Insomma, per continuare a giocare in Champions, come l’economia bergamasca è abituata da tempo, servono buoni giocatori (le aziende), investimenti (su innovazione e formazione) e uno schema di gioco vincente. Agli imprenditori tocca garantire i primi due elementi. Alla politica, a Bergamo come a Roma e Milano, compete il resto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA