La Russia contro gli ultra nazionalisti. Regime in crisi psicologica

MONDO. Il Cremlino impone il silenzio; la narrativa può essere solo la sua; stesso discorso vale per le interpretazioni della storia. Ecco la ragione del clamoroso giro di vite contro gli ultranazionalisti russi dopo quelli ripetuti contro i liberali, i dissenzienti in generale e i pacifisti.

Il nervosismo, provocato dall’ammutinamento della compagnia di mercenari «Wagner» del 24 giugno scorso, non è passato. Mai prima di allora si era registrata una sfida così seria al potere del presidente Vladimir Putin. E le conseguenze finanziario-economiche del sollevamento sono sotto gli occhi di tutti. In meno di un mese il cambio del rublo contro euro e dollaro è crollato del 20%, tanto da costringere la Banca centrale ad alzare d’urgenza il tasso di interesse di un punto, visto che anche l’inflazione ha rialzato la testa.

Due sono le cause di quanto avviene: gli oligarchi, temendo un’imminente ridistribuzione delle proprietà, stanno portando i soldi fuori dalla Russia; i proventi dell’export quest’anno si sono ridimensionati rispetto alle entrate del 2022. All’orizzonte si osservano segnali sinistri. L’opinione pubblica, ubriacata da anni di propaganda sconsiderata, ora pretende la vittoria in Ucraina. Per questo appare delusa e cerca qualcuno con cui prendersela. Prigozhin e la sua «Wagner» hanno dato la colpa agli alti comandi militari; della stessa opinione sono anche gli ultranazionalisti.

Il Cremlino si è visto poi superato nella sua dialettica patriottica, quella che fa veramente breccia nella società russa. Quindi è dovuto intervenire per mettere a tacere Prigozhin e ha arrestato per «istigazione all’estremismo» l’ultranazionalista Igor Girkin, conosciuto anche con il nome di Strelkov: è forse il più conosciuto ultra nazionalista russo. Nella primavera 2014 lui insieme ai suoi uomini mise a soqquadro il Donbass e contribuì a fondare la Repubblica popolare di Donetsk - separatista da Kiev - diventandone il ministro della Difesa.

Il Tribunale penale internazionale dell’Aia l’ha condannato all’ergastolo per l’abbattimento del Boeing malese sui cieli del Donbass, in cui persero la vita 298 persone nel luglio 2014. Con i suoi social media, molto seguiti e con il consenso del Cremlino, Strelkov è diventato uno dei punti di riferimento dei cosiddetti «patrioti». Quanti siano numericamente questi «patrioti» nella realtà è difficile da dirsi. Il suo canale Telegram conta su 800mila sottoscrittori. Qui al momento è comparso un messaggio in cui si sostiene che è iniziata la campagna per la liberazione del «detenuto politico» Strelkov. Negli ultimi tempi l’ex ufficiale dei Servizi segreti russi se l’era presa sui social sia con gli alti comandi militari russi - rei di non fare quello che si deve in Ucraina – che con Prigozhin, con cui i rapporti sono tesi.

La settimana scorsa i suoi strali sono stati rivolti addirittura alla presidenza della Federazione russa. «Il Paese - ha scritto letteralmente Strelkov - non sopravviverà altri 6 anni di questa codarda mediocrità al potere». Il che significa «no» alla rielezione di Putin, il cui mandato scade la primavera prossima. Senza andare troppo in là col tempo: oggi il potere non vuole soprattutto più sentire critiche contro gli alti comandi militari, perché queste parole avvelenate possono spaccare la società russa. Nelle stesse ore, per spostare l’attenzione, Putin ha rilanciato la sua particolare visione del mondo, affermando che la Polonia ha ricevuto un regalo da Stalin alla fine della Seconda guerra mondiale. Da queste parole si comprende che la crisi psicologica russa, una delle cause della tragedia ucraina, è lungi da essere superata. Anzi.

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