La Russia impoverita e le spese per armarsi. Per l’Europa sfide decisive

Come tutte le crisi anche quella russo-ucraina crea delle opportunità per correggere errori passati e modificare il corso fin qui intrapreso. Iniziamo dalla politica energetica. Due i momenti fondamentali: il legame Ue-Usa con la Russia e la svolta «verde». Il primo centrale: l’Occidente ha mantenuto, per decenni, la dipendenza dagli idrocarburi e dalle materie prime russe per finanziare indirettamente il passaggio di Mosca alla democrazia e al mercato libero dopo il comunismo. È stato, in pratica, una specie di «piano Marshall» camuffato, per non avere più sull’uscio di casa un avversario affamato, ma un partner.

Non è un caso che l’ex presidente americano Bill Clinton abbia appena raccontato della proposta fatta al Cremlino - prima a Eltsin poi a Putin - di far aderire l’ex «nemico» della Guerra fredda all’Alleanza atlantica e che vi siano stati gli accordi di Pratica di mare nel 2002, mediati dall’Italia. Il problema è che, dopo la primavera 2012 - quando Putin volle tornare a forza alla presidenza per un terzo mandato (in violazione della Costituzione eltsiniana) - Mosca ha iniziato a investire quei capitali acquisiti non per migliorare la qualità di vita della popolazione, ma in armi. E da lì a poco è scoppiata la tragedia ucraina.

Il secondo momento è che la svolta «verde», giustamente ispirata dall’Unione europea con l’utilizzo sempre maggiore delle energie rinnovabili, ha invero bisogno dopo lo scoppio della presente tragedia di un periodo temporale transitorio più ampio rispetto a quanto definito in autunno da alcuni governi e di una sapiente miscela (libera da interessi di parte) di fonti tradizionali e fonti nuove, se si intendono evitare pesanti choc e un costo troppo elevato da sopportare per gli utenti.

La crisi russo-ucraina offre ora la possibilità di trovare questi nuovi equilibri. Troppi sono 700 milioni di dollari che ogni giorno incassa il Cremlino dalla vendita delle sue materie prime e li spende in funzione anti-occidentale. La diversificazione degli approvvigionamenti è diventata poi un obbligo di sicurezza nazionale, come il ripensare a scelte del passato, leggasi chissà il nucleare o la costruzione di rigassificatori.

Proseguiamo con la politica di difesa Ue. L’odierno dramma dimostra che la meritoria volontà dei Padri fondatori di creare un’Unione, non potenza tradizionale, non corrisponde ai tempi non ancora maturi, perché la deterrenza nucleare, ad esempio, oggi non è più garanzia di pace. La decisione di aumentare le spese militari all’interno della Nato è stata presa anni fa e adesso è solo tornata di attualità. L’Unione europea dovrà semmai scegliere se creare strutture indipendenti o un qualcosa all’interno dell’Alleanza atlantica, tenendo presente il disimpegno Usa, sempre più palese, dal Vecchio continente. Se gli europei vorranno vivere in pace in futuro ed essere sicuri in casa propria, garantendosi democrazia e sicurezza, saranno costretti a mettere mano al portafoglio. Lo stesso dicasi sull’assumersi un atteggiamento di maggiore impegno personale e sociale. Il «che c’entro io?» con la tragedia russo-ucraina o il va bene qualsiasi cosa, «ma non nel mio cortile» sono superati dalla tempestosa realtà al confine orientale post 24 febbraio. La globalizzazione del resto, con le sue ricorrenti crisi finanziarie internazionali, aveva già segnalato che la bellezza di un mondo interconnesso era bilanciata dall’importazione involontaria a livello locale di difficoltà altrui.

Trovare ora urgenti soluzioni sarà cruciale per garantirsi un futuro di stabilità e benessere senza venire travolti.

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