La siccità, quei popoli costretti alla fuga

La siccità sta provocando gravi danni alla nostra agricoltura. Ma ci sono Stati dai quali le popolazioni, affamate dall’innalzamento delle temperature, sono costrette a scappare per sopravvivere.

L’allarme arriva dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr): «La maggior parte delle persone a cui assicuriamo sostegno proviene dai Paesi più esposti all’emergenza climatica - dice il direttore Filippo Grandi - e a catastrofi correlate ai cambiamenti climatici, alluvioni, desertificazioni, eventi che distruggono mezzi di sussistenza e generano conflitti costringendo alla fuga». Nel Sahel la temperatura media è aumentata di 1,5 gradi rispetto al resto del pianeta con conseguenze devastanti, solo nel Corno d’Africa - secondo le ultime stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) - dopo 4 anni senza piogge, in 15-16 milioni hanno già un estremo bisogno di aiuti alimentari. «Una situazione disperata - dice l’ong Save the children - che fa temere che si ripeta quanto avvenuto nel 2011 quando la carestia causò la morte di 260mila persone: metà erano bambini sotto i 5 anni». Condizioni di vita così estreme da spingere a emigrare, diretti anche in Italia partendo da Libia, Tunisia, Turchia e Grecia. Queste ultime due rotte ultimamente sono più battute, soprattutto dalla popolazione afghana.

Ma secondo l’Unhcr «le regioni in via di sviluppo, che sono tra le più vulnerabili dal punto di vista climatico, ospitano l’84% dei rifugiati del mondo. Gli eventi meteorologici estremi e i pericoli in queste aree che accolgono i rifugiati stanno sconvolgendo la loro vita, esacerbando i bisogni umanitari e perfino costringendoli a fuggire di nuovo. Ciò significa che i territori più esposti dal punto di vista climatico sono anche quelli dove molto spesso scoppiano conflitti e dove le persecuzioni sono più frequenti. È sulla base di questa constatazione che la comunità internazionale si deve muovere, indipendentemente dall’identificazione di un rapporto di causa-effetto tra clima e guerre». «L’Afghanistan - osserva ancora Save the children - sta affrontando la sua peggiore crisi alimentare. La metà della popolazione, 23 milioni di persone tra cui 14 milioni di bambini, fa i conti con la fame e sopravvive a pane e acqua. Il costo della vita è raddoppiato».

La siccità si incrocia con un’altra emergenza: quella dei Paesi del Sud del mondo che non ricevono più - o in quantità molto ridotte - grano e farina da Ucraina e Russia. Nel Corno d’Africa, in Somalia, Etiopia, Kenya, Eritrea il 90% dei due prodotti vitali per l’alimentazione arriva dai due Stati in guerra. Anche l’Egitto è tra i Paesi più colpiti dal blocco: da lì quindi giunge il numero più alto di migranti sbarcati sulle coste italiane negli ultimi mesi.

Secondo un rapporto reso noto alla «Cop26», la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici svoltasi nel 2021 a Glasgow, saranno circa 260 milioni - 86 milioni dei quali in Africa sub-sahariana - le persone che nei prossimi anni, a causa degli stessi cambiamenti, saranno costrette a emigrare, nella maggioranza dei casi all’interno del loro Paese. Mancanza di risorse e di sistemi di protezione sociale caratterizzano queste migrazioni, segnate da un vuoto di politiche nazionali e internazionali. «È davvero difficile sapere quanti sono i migranti che sbarcano perché fuggono da siccità e carestie - spiega Flavio Di Giacomo, portavoce di Oim Italia - ma almeno quelli che passano dalla Libia subiscono tutti atrocità in violazione dei più elementari diritti umani che quando arrivano hanno diritto per questo alla protezione internazionale». Non sempre per la verità. Per l’Unhcr i migranti climatici non sono rifugiati in senso stretto, «ma persone che hanno comunque diritto a protezione, assistenza e supporto».

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