L’agenda di una Chiesa in rivolta per i poveri

MONDO. Non c’è nulla di nuovo. E non è un paradosso. All’esame critico la fede e la religione dei cristiani si conferma cruciale per cambiare il mondo e le sue regole inique.

L’esame critico è quello che Leone XIV condensa nei 121 paragrafi dell’Esortazione apostolica «Dilexi te», sull’«amore verso i poveri». Non c’è nulla di nuovo perché fin dall’origine i cristiani si interrogano sulle implicazioni, le esigenze concrete e, soprattutto, le conseguenze della loro fede. L’attenzione alla terra che trema per via di sistemi ingiusti, esclusione, diseguaglianze, indifferenza non è un mandato politico, protetto da un involucro ideologico terzomondista e vagamente anti-imperialista. È il cuore stesso della Rivelazione, della fede in un Dio che si è fatto uomo.

Le parole di Leone nell’Esortazione apostolica sono la conferma dell’importanza della «Teologia del Regno», cioè delle priorità di Dio sulla terra: la dignità e la libertà di ogni uomo. Prevost spiega che sempre è stato così, perché il Vangelo non si è mai invecchiato, perché

Quante volte i cristiani ripetono le parole del Magnificat, agenda programmatica della religione di un Dio che si è incarnato, «ha rovesciato i potenti, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» e si comportano esattamente all’opposto?

l’amore di Gesù per l’umanità non si mai logorato. Qualcuno già bolla l’Esortazione come un compendio e sussidiario di ovvietà. Ma, osservando lo stato del mondo e le sue crisi, forse le ovvietà è bene che siano ripetute. Quante volte i cristiani ripetono le parole del Magnificat, agenda programmatica della religione di un Dio che si è incarnato, «ha rovesciato i potenti, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» e si comportano esattamente all’opposto? La storia della Chiesa è piena di testimonianze al contrario. Ma la storia della Chiesa è colma anche di risposte decise e radicali, in una parola evangeliche.

Un sussidiario come quello di Leone è un buon ripasso, un taccuino di parole giuste, linguaggi e stili per contrastare e resistere all’arretramento, ormai quasi fatale, nella scala dei valori della nostra civiltà. «Dilexi te» è una bussola, una cassetta degli attrezzi, pochi e di agevole uso, ma decisivi per tentare almeno di cambiare le iniquità presenti e costruire qui e adesso - e

Leone mette in guardia dai rischi del cammino, i richiami delle sirene ideologiche e le argomentazioni strumentali di chi è preoccupato solo del consenso.

non poi e chissà dove - il Regno di Dio. È l’indicazione di un percorso e di un cammino, ma è anche uno specchio che non inganna per farci capire se stiamo sulla strada giusta e quanto la condizione dei poveri sia anche per noi «un grido che interpella costantemente la nostra vita» («Dilexi te», n°9). Non è affatto l’agenda di una Chiesa rivoluzionaria, aggettivo spesso usato a sproposito, ma quella di una Chiesa in rivolta, contro corrente rispetto alle logiche del mondo, una Chiesa per nulla moderata, ma inquieta secondo lo stile di Gesù.

Leone mette in guardia dai rischi del cammino, i richiami delle sirene ideologiche e le argomentazioni strumentali di chi è preoccupato solo del consenso. Avverte dei tradimenti del Vangelo e fissa sull’orizzonte il volto dei santi a cui ispirarsi, linee guida di pensiero e azione. Poi allarga il ragionamento alle istituzioni e alla povertà imposta nei diritti. Chiede di cambiare mentalità a chi ha in testa solo potere e denaro, risultato di «un’economia che uccide», parole di Francesco che Leone riprende segnando la continuità tra i due Pontificati, e frutto avvelenato della «teologia della prosperità», che ha affascinato anche molti cattolici soprattutto negli Stati Uniti.

La critica contenuta nelle ultime pagine ad una «pastorale delle élite», nella presunzione che siano le uniche in grado di cambiare le regole, è un invito a vigilare su quella che Francesco definiva «ingannevoli soluzioni» dell’ «ipocrisia delle apparenze». E Prevost è molto severo, come il suo predecessore, soprattutto con chi rigetta perfino il minimo sindacale, e ciò che il mercato può esistere e resistere meglio senza etica e senza norme condivise e diffuse.

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