L’agenda Usa-Russia
cambierà: Putin
si organizza

Posizione di attesa nei confronti del prossimo inquilino della Casa Bianca; azione attiva in politica estera, soprattutto nel «vicino estero». Il Cremlino ha scelto la sua linea da qui al 20 gennaio prossimo, quando il 46° presidente Usa (o il 45°) si insedierà alla Casa Bianca. Così, mentre le istituzioni americane chiariranno l’esito delle elezioni, la Russia mette intanto ordine in casa propria, nel suo «cortile interno», ossia lo spazio ex sovietico, dove, dal crollo dell’Urss nel 1991, non vuole interferenze esterne. Risolta al momento la questione del Nagorno-Karabakh, adesso toccherà alla Bielorussia, poi alla Kirghisia e chissà alla Moldova. Con Donald Trump Vladimir Putin aveva fatto un patto non scritto per non pestarsi i piedi dopo la crisi ucraina del 2014, quando Barack Obama era presidente. In pratica, per 4 anni, gli Usa si sono tenuti fuori dall’ex Urss.

In futuro, difficilmente, Joe Biden - che ha avuto in passato un rapporto non semplice con Putin - rispetterà tale patto. Ecco perché le lancette della storia hanno iniziato a correre in maniera folle, tanto da ridimensionare o quasi in poche ore uno dei «conflitti congelati» più vecchi nell’ex Urss, quello del Nagorno-Karabakh.

Se si fa un consuntivo dei rapporti bilaterali con Trump e si guarda oltre il 20 gennaio, ci si rende conto che il bilancio è fallimentare e troppe sono le partite, in particolare in campo strategico, da vincere insieme. Il «Russiagate», lo scandalo collegato alle presidenziali del 2016, ha costretto il tycoon a mantenere le distanze da Putin per non venire accusato dai democratici di essere stato aiutato dai russi nella sua elezione. Così pochi sono stati i contatti diretti tra i due leader per quattro anni. Il primo incontro – raccontano le solite «gole profonde» – in una toilette in Asia a margine di un vertice del Pacifico. I due leader si saranno pure piaciuti personalmente, ma Trump non ha cancellato le tante sanzioni (volute da Obama) finanziarie ed economiche, che hanno messo in difficoltà l’economia russa. Anzi, ha imposto pure quelle energetiche. Inoltre il 45° presidente ha cancellato unilateralmente il trattato Inf, quello del 1987, sui missili a corto e medio raggio, facendo ripiombare il Vecchio continente nell’incubo degli «euromissili» negli anni Ottanta.

Putin ha rilanciato nelle scorse settimane sulle questioni strategiche. Ha proposto: impegno su base volontaria di Russia ed Usa a non dislocare missili (vietati dall’Inf) in Europa; allungamento di un anno dello Start-3 – sulla riduzione degli arsenali – in scadenza il 5 febbraio 2021. Ma da Washington non sono giunte vere risposte. Trump vorrebbe eliminare anche quest’ultimo trattato, Biden – grande esperto di disarmo e fine conoscitore della Russia fin dal lontano 1973 – è per conservarlo.

Ma dal punto di vista geopolitico e da quello della sfida con la Cina gli occidentali hanno necessità di recuperare un rapporto decente con la Russia, per non buttarla definitivamente tra le braccia di Pechino. Teoricamente servirebbe un altro patto di non aggressione nello spazio ex sovietico e di abbandono delle sanzioni reciproche. L’avvelenamento di Aleksej Navalnyj non lascia spazio ad eccessivo ottimismo. I nazionalisti russi erano contenti di Trump perché divideva l’Occidente. Adesso è il turno del moderato Biden, che nel 2011 disse a Putin: «Non penso che lei abbia un’anima». I rapporti tra i due saranno fondamentali per il reset russo-americano. Putin, però, non si fida ed ha già deciso: in futuro la Russia migliorerà il suo potenziale atomico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA