L’alleanza 5 Stelle-Pd: gli effetti
dirompenti. I grillini ora cambiano
Il matrimonio d’interesse sottoscritto da Di Maio, tornato capo senza esserlo formalmente, il teorico del superamento dell’asse destra-sinistra, equivale ad una resa della creatura grillina: cercando di riconciliarsi con la realtà, prende atto della impraticabilità di un club giacobino nelle stanze del potere, che non può più ritenersi movimento, libero da vincoli e responsabilità, perché già nei fatti è costretto ad essere partito. Il tema vero può essere appunto questo: l’annuncio di un cambio nella stessa struttura privatistica dei Cinquestelle, di un certo modo di fare politica questa volta dentro le logiche partitiche. Fin qui influenzato dalla eredità fondativa: quella di una concezione estrema della democrazia, e non per caso la piattaforma digitale si chiama Rousseau. A poco a poco stanno cadendo tutti i tabù che avevano portato allo «splendido isolamento» grillino: fine del divieto di alleanze e dello stop ai due mandati.
Per sopravvivere, il M5S deve rinnegare se stesso e si capisce la rivolta dell’altra metà a questa mutazione genetica. Del bel giocattolo delle origini resta ben poco. Lo stesso movimento non è più quello che è passato dalla destra alla sinistra con il Conte II: un cambio di pelle per una formazione fattasi partito senza dirlo in giro e senza dibattito interno e che, come tale, occupa gli spazi del potere, utilizza linguaggi e metodi dei partiti «normali». Non c’è più pure il bottino elettorale del 2018 (11 milioni di elettori), piuttosto la disponibilità all’alleanza rivela il riconoscimento a posteriori di un fallimento e di una forza degradata a debolezza. Un misto di autosufficienza e incultura politica, di anarchica secessione dalla realtà. La pretesa di essere un soggetto terzo rispetto a destra e sinistra è finita nell’aspirapolvere che tutto assorbe di Zingarettti, meno flemmatico di quel che sembra.
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