
(Foto di EPA/XINHUA / Huang Jingwen)
MONDO. Fino a ieri l’Unione Europea era il primo partner commerciale della Cina. Dal 31 agosto a oggi, su invito di Xi Jinping, il Sud del mondo si dà appuntamento alla corte del presidente cinese, ma l’Europa non c’è.
Un summit euroasiatico dove l’America e l’Europa sono la controparte. India, Pakistan, Egitto Turchia, Brasile, Sudafrica e poi Paesi fino a ieri filoamericani, come Indonesia e Vietnam, venti in tutto, affiancati da ben dieci organizzazioni internazionali, Onu in testa con il suo segretario generale, vanno a Tanjin, lo scalo portuale più vicino a Pechino e si affiancano all’Iran degli ayatollah. È la plastica raffigurazione di come l’America di Trump abbia buttato alle ortiche 80 anni di egemonia globale. L’Europa potrebbe mediare in questa contrapposizione globale. Ha scritto sulle sue bandiere il desiderio di pace. È il grande portato dell’Unione Europea che nasce dalla volontà di non ripetere gli orrori delle guerre mondiali. Gli europei possono portare al mondo la vera alternativa all’arroganza suicida americana, il multilateralismo.
Per non essere però predicatori nel deserto occorre assumersi responsabilità. La difesa serve a questo. L’Europa non ci ha pensato per tutto il secondo dopoguerra fino ad oggi. L’ombrello americano garantiva per tutti. Due sono le nazioni guida in Europa: Francia e Germania. Entrambe ambiscono ad essere la guida dei 27 e finora ci sono riuscite. Hanno assecondato i loro interessi nazionali chiamandoli europei. Gli altri hanno eseguito perché della torta alcune piccole fette sono arrivate anche a loro. Adesso con la guerra in Ucraina e Trump che tiene il Vecchio continente sotto schiaffo, riarmarsi diventa una questione urgente. A Tolone quindi si incontrano nei giorni scorsi il cancelliere Merz con il presidente francese Macron. Occorre definire il progetto del nuovo aereo da caccia multiruolo definito Fcas (Future Combat Air System). È dal 2017 che se ne parla e ci si lavora ma i francesi di Dassault vogliono ad ogni costo la direzione del progetto e rivendicano l’80% nella costruzione del nuovo reattore. Ovvio che i tedeschi non ci stanno e gli spagnoli li seguono. Si chiama progetto europeo, il che vuol dire che Francia e Germania guidano e gli altri seguono, in questo caso la Spagna.
L’Italia, che ben conosce la vanagloria transalpina, si è mossa in autonomia e d’accordo con Gran Bretagna e Giappone ha avviato un altro progetto, il Gcap (Global combat air program). Dov’è il vantaggio di operare fuori dall’Unione? Sottrarsi all’egemonia franco-tedesca ed al contempo vedersi riconosciute le proprie capacità tecniche e gestionali. Quindi ad ognuno dei partner va il 33% e tutti e tre gli Stati condividono le stesse responsabilità. Si fonda nel frattempo una joint venture di nome Edgewing. Guiderà l’intero ciclo di vita dell’aereo. La sede è a Londra. L’ambizione nazionale britannica viene accontentata. Ma gli inglesi sono pragmatici e si adattano. Conoscono a loro volta le suscettibilità del governo Meloni e propongono Marco Zoff di Leonardo, un italiano, alla guida del progetto. Un esempio da manuale di come gestire le ambizioni nazionali.
Riusciremo a riportare nell’Unione Europea un modello collaudato fuori dai suoi confini? È un approccio multilaterale dove si va a fiducia senza ambizioni di «dominance». Il bello dell’Unione Europea è che il multilateralismo lo predica ai quattro venti, e con ragione, ma poi non riesce ad applicarlo al suo interno. Di questo passo, in futuro verranno attuati dai singoli Stati dell’Unione Europea accordi in modo asimmetrico. Valgono per il singolo progetto ma non rafforzano le sinergie intraeuropee e lasciano l’Europa dov’è: sulla battigia.
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