Le bombe italiane ai sauditi
Ora si indaga

Il viaggio apostolico che Papa Francesco ultimerà oggi in Iraq, conferma due doti del pontefice argentino: il coraggio, in questo caso sfidando possibili attentati e la presenza diffusa del Covid in Mesopotamia, e la capacità di lettura delle vicende internazionali. Da Bagdad venerdì scorso Bergoglio ha lanciato un appello alla comunità internazionale: «Tenda la mano a questo popolo senza imporre i propri interessi». Il più recente conflitto in Iraq dura da 18 anni ed è classificabile tra quelli per procura: potenze mondiali e regionali agiscono attraverso attori locali appunto per il proprio tornaconto: nel caso iracheno è soprattutto l’Iran a soffiare sul fuoco.

Un’altra guerra per procura si sta combattendo in Yemen dal 2014, coinvolge 22 milioni di abitanti e fino al novembre 2020 ha provocato oltre 18.557 vittime civili secondo i dati ufficiali (ma altre stime arrivano a 230 mila), costretto più di 4,3 milioni di persone, tra cui oltre 2 milioni di bambini, a lasciare le proprie case e l’80% della popolazione - 24,3 milioni di persone - necessita di assistenza umanitaria. Dieci milioni di bimbi rischiano la vita per malnutrizione. Ieri a Marib, nel Nord, regione strategica che i ribelli Huthi (sostenuti dall’Iran) stanno cercando di strappare alle forze governative (appoggiate dall’Arabia Saudita e da altri otto Stati per lo più arabi sunniti, oltre a Paesi occidentali), scontri armati hanno generato 32 morti fra i due fronti mentre 58 ribelli sono stati uccisi dall’aviazione di Riad.

In Italia il conflitto yemenita registra un’importante novità: per la prima volta una nostra Procura (di Roma) sta indagando sulla vendita di ordigni a Stati in guerra. L’inchiesta parte da una strage dell’8 ottobre 2016: nella notte un caccia saudita sgancia una bomba su una casa nel Nord-Ovest dello Yemen (l’obiettivo in realtà era un checkpoint militare a 300 metri dall’abitazione): muore una famiglia intera, papà, mamma incinta al quinto mese e quattro figlioletti. Tra le macerie viene ritrovato un anello di sospensione necessario per caricare l’ordigno sull’aereo e che riporta la sigla della Rwm Italia, ditta autorizzata dal nostro governo, allora retto da Matteo Renzi, a vendere a Riad 20 mila ordigni al prezzo di 411 milioni di euro. L’indagine, avviata dopo le denunce di associazioni umanitarie italiane, europee ed yemenite, ha portato per ora alla contestazione del reato di abuso d’ufficio per due direttori generali dell’Uama (l’autorità del nostro Paese che concede le autorizzazioni all’export di armamenti) in violazione della legge 185/1990 che vieta l’esportazione di armi verso Stati che non rispettano i diritti umani. Intanto l’Europarlamento ha rinnovato la proibizione di rifornire di armamenti la coalizione guidata dall’Arabia Saudita nello Yemen, l’Italia con il governo Conte 2 nel gennaio scorso ha revocato le licenze per bombe e missili ai sauditi e gli Usa guidati da Joe Biden hanno congelato forniture militari a Riad. Il Regno Unito invece riprende le esportazioni di ordigni.

Intanto la Rwm Italia ha annunciato un ricorso contro «un provvedimento “ad aziendam”» che «lascia intoccate le esportazioni delle altre società». I dipendenti della ditta sono in stato di agitazione. È l’eterno dissidio fra salvataggio di posti di lavoro e produzione di materiale bellico, che dovrebbe però servire per la difesa e non come strumento di morte in mano a dittature. Aziende del settore in passato hanno deciso di riconvertire la produzione, fino al caso della pugliese Tecnovar che realizzava mine anti uomo: nel ’97 ha chiuso i battenti e uno dei comproprietari è diventato sminatore.

La legge 185/1990 è la stessa alla quale si sono appellati nel dicembre scorso i coniugi Regeni nell’esposto contro il secondo governo Conte per la vendita all’Egitto di due fregate militari, parte di una commessa da 9 miliardi di euro. Ritengono quell’affare lesivo della ricerca definitiva della verità sulla morte del figlio Giulio, ricercatore universitario sequestrato, torturato e ucciso cinque anni fa al Cairo dai servizi segreti del regime di al-Sisi. L’Egitto è il nostro primo cliente nel mercato delle armi con 871,7 milioni di euro di esportazioni dall’Italia, escluse le navi militari. La verità e il denaro spesso non vanno d’accordo.

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