Le mire nucleari di un paese isolato

«Lancio di missili, lancio di missili! Si prega di trovare riparo». Attraverso queste parole, e con una certa compostezza orientale, i cittadini di alcune prefetture del Giappone hanno scoperto che un missile balistico a raggio intermedio lanciato dalla Corea del Nord, in particolare un IRBM Hwansong-12, stava passando sulle loro teste in un volo che sarebbe durato per 23 minuti e avrebbe coperto 4.500 chilometri.

Detto altrimenti: per i nordcoreani, che hanno lanciato cinque volte negli ultimi dieci giorni, il test missilistico più importante e significativo degli ultimi vent’anni, quello che agli scienziati del famoso Dipartimento per la Direzione Missilistica di Pyongyang, ha procurato la messe di dati più utile e interessante.

Com’è ovvio, il Giappone ha definito il lancio «un atto violento» e, d’intesa con Corea del Sud e Stati Uniti, ha subito varato un’esercitazione militare dedicata ai «bombardamenti di precisione», riservandosi ulteriori iniziative militari e politiche per contenere le smanie missilistiche del dittatore Kim Jong-un. Resta ovviamente da chiedersi perché un Paese di 26 milioni di abitanti, isolato dal resto del mondo con la parziale eccezione della Cina, classificato al 6° posto nel mondo per corruzione e dal reddito pro capite sconosciuto, si sia dedicato nei decenni a sviluppare una minaccia missilistica così intensa partendo da ferrivecchi russi e cinesi degli anni Sessanta e si dedichi con tanta intensità a sfidare il mondo con missili che per ora volano scarichi ma che domani potrebbero portare testate con un potere distruttivo molto superiore a quelle di Hiroshima e Nagasaki. Non a caso la Corea del Nord ha in programma, per i prossimi mesi, un test nucleare che costituisce la maggior preoccupazione per gli altri Paesi della regione.

Le spiegazioni sono molte e nessuna di esse ha a che fare con la presunta follia di quello che Donald Trump, in questo genere di battute quasi imbattibile, ebbe a definire Rocket Man. Come molti altri Paesi, per cominciare, la Corea del Nord ha capito che possedere la bomba atomica (o dimostrare di poterla avere) impedisce ai cosiddetti «Paesi canaglia» di fare la fine dell’Iraq o della Siria. Pensiamo all’Iran, spiato, sanzionato, bersagliato di attentati ma mai attaccato. O, al contrario, a Israele, che ha un esercito potente, servizi segreti imbattibili, alleati potentissimi ma ha fatto astutamente sapere di avere la bomba proprio negando di averla. Al Pakistan. E purtroppo anche alla Russia, sospettata di voler condurre test nucleari in questi giorni come preparazione a un eventuale uso di bombe atomiche tattiche se la situazione in Ucraina dovesse, per i suoi fini, precipitare. Checché se ne dica, la bomba è un’assicurazione sulla vita (politica), soprattutto per i dittatori. Nel caso della Corea del Nord, poi, è anche un’assicurazione nei confronti della Cina, che l’ha sempre protetta ma che stenta a tollerare provocazioni come questa, che agitano inutilmente le acque e, per indicare solo una delle conseguenze indigeste a Pechino, spingono il Giappone al riarmo e gli Usa a rafforzare la loro presenza nel Mar della Cina.

Eppure Pyongyang non lascia, anzi raddoppia. Un mese fa, l’Assemblea Suprema del Popolo, il finto Parlamento, ha riscritto la definizione di «Stato dotato di armi nucleari», regalando all’esercito l’autorizzazione a colpire con bombe atomiche in caso arrivino ai comandi «segnali di attacchi imminenti» contro le strutture strategiche del Paese. In sostanza, la Corea del Nord si riserva il diritto di lanciare una guerra preventiva. Se uniamo questi fatti all’aperto sostegno che il regime di Kim Jong-un ha dato alla guerra della Russia contro l’Occidente (riconoscendo le Repubbliche di Donetsk e Lugansk e definendo «perfettamente legittimi» i recenti referendum per l’annessione dei territori ucraini), allora capiamo che Rocket Man è un più mediocre, imprevedibile e pericoloso emulo del presidente turco Erdogan. Nella drammatica crisi globale che sta ridefinendo alleanze ed equilibri, il leader dello Stato più rifiutato al mondo cerca di ritagliarsi spazi e opportunità nuove. Un po’ minacciando, un po’ ricattando e magari pure bluffando.

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