Lo scontro sull’energia, vera prova di forza

Approvando, dopo tante polemiche, il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, l’Unione Europea è andata ufficialmente alla guerra dell’energia. La spina dorsale di questa nuova tornata di provvedimenti, infatti, non stava certo nell’esclusione dal sistema di comunicazioni bancarie Swift di altri due istituti russi (anche se uno di questi è Sberbank, la più grande banca del Paese) e uno bielorusso, nell’esclusione delle navi russe da certi servizi assicurativi o, men che meno, nel bando imposto ad altre tre televisioni russe o nell’aver inserito il patriarca ortodosso Kirill nella lista dei personaggi sanzionati. Il punto centrale era l’embargo sul petrolio, per almeno due ragioni.

La prima era che, senza un adeguato meccanismo di garanzie per i Paesi in sofferenza, l’unità dei 27 Paesi Ue, spesso più fittizia che reale, sarebbe andata a pezzi. E in un periodo tanto drammatico l’unità, per la Ue costretta dagli statuti a decidere in modo unanime, è più preziosa del pane. Rinviando a fine anno l’embargo effettivo al petrolio russo, limitandolo al solo petrolio consegnato via nave (che peraltro vale per circa i due terzi del totale) e lasciando quindi via libera al vecchio oleodotto Druzhba (Amicizia) che con il ramo Nord rifornisce Germania, Polonia e Austria e con quello Sud Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, la Ue è riuscita a costruire un accordo che, a sua volta, ha permesso il varo anche di tutte le altre misure.

La seconda ragione è che il tempo passa, la Russia avanza (tre mesi fa, all’inizio della guerra, controllava il 7% del territorio ucraino, ora il 20%) e non dà segni di volersi fermare. Quindi non restava altra soluzione, oltre a fornire tonnellate di armi e miliardi di euro e dollari all’Ucraina, che provare a intaccare il suo scrigno più prezioso, quello degli introiti da gas e petrolio. È chiaro, però, che il Cremlino non starà a guardare. Ha già tagliato gas e petrolio a Finlandia, Polonia, Bulgaria, Danimarca e Olanda e di certo terrà pronte altre misure di ritorsione.

Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, annuncia «l’abbandono delle fonti di approvvigionamento russe» e, ovviamente, tutti i politici europei mostrano grande fiducia nella possibilità di trovare fornitori alternativi.

La realtà, però, è che da oggi il sistema produttivo europeo naviga in acque inesplorate. I nostri Paesi, anno più anno meno, hanno cominciato a comprare gas dall’Unione Sovietica alla fine degli anni Cinquanta. E al di là della retorica del nemico alle porte in queste settimane sparsa a piene mani, c’è una sola ragione se questo legame commerciale non solo ha resistito alla Guerra Fredda, al crollo dell’Urss e all’avvento del putinismo ma si è sempre rafforzato: perché conveniva a tutti. A noi europei che ricevevamo gas puntuale e a buon prezzo; e a loro, i russi, che incassavano tanti bei milioni. Nessun’altra commodity, nella storia del Continente, è mai stata scambiata con tanta regolarità per sessant’anni consecutivi, altro che sicurezza energetica. Se europei e russi ora decidono di divorziare, dovranno entrambi trovare altri mercati, costruire nuovi rapporti, inventare nuovi scambi. E nessuno, al momento, è in grado di prevedere fino in fondo che cosa potrà avvenire.

È probabile che la vera battaglia, tra Russia e Ue, si giocherà soprattutto sui prezzi. Non è certo un caso se il gas, nei mesi scorsi, ha battuto un record dopo l’altro. E se quello del petrolio è schizzato in alto subito dopo l’annuncio dell’accordo raggiunto in Ue. Solo i propagandisti possono cercare di far credere che una rottura tra l’entità che importa il 15% di tutto il petrolio commerciato nel mondo (la Ue, appunto) e il secondo esportatore mondiale (la Russia) possa essere indolore. Quanto, e per quanto tempo, saliranno i prezzi del gas e del petrolio prima che il nuovo mercato si assesti? Nel 1973, quando i Paesi arabi alzarono il prezzo del greggio per punirci dell’appoggio dato a Israele nella Guerra dello Yom Kippur, finimmo con l’austerity, le domeniche senz’auto e i miniassegni. I tempi sono cambiati ma, a quanto pare, i problemi no. La Ue ora comprende 27 Stati, il 1° gennaio del 1973 passava da sei a nove. Pesa di più, speriamo faccia bene i suoi conti.

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