L’offensiva di Conte su due fronti opposti

ITALIA. I sondaggi lo danno in crescita ma di sicuro non quanto le sue ambizioni che sono notoriamente senza confini.

Giuseppe Conte in quarant’otto ore ha aperto rudemente due fronti: uno con una ipotetica alleata, Elly Schlein; l’altra con la sua nemica numero uno, Giorgia Meloni. Così facendo si è conquistato il centro della scena che è poi il suo vero e più profondo, per nulla nascosto, desiderio. L’uomo, come si sa, è afflitto da una forma accentuata di vanità. Alla Schlein ha detto che non le riconosce alcun ruolo di «federatore» del fantomatico «campo largo» che Romano Prodi le ha conferito (in realtà un po’ a sorpresa dopo tanti maldipancia per il comportamento della segretaria).

Dichiarando di non avere alcuna necessità di qualcuno che si incarichi di «federare» forze tra loro concorrenti, Conte si è anche permesso di svelenare sul Pd con una dose abbondante di sarcasmo. Secondo lui infatti i democratici avrebbero sì bisogno di un federatore ma delle loro stesse correnti (notoriamente litigiose ai limiti del masochismo) tanto da conquistare una posizione politica chiara sulla politica estera, la transizione ecologica e più ancora – qui il vertice del sarcasmo – sulla questione morale. Il padrone del M5S ha dunque fatto ricorso al repertorio moralistico del vecchio movimento quando era Grillo a guidarlo con fare da dittatore e con il favore delle piazze adoranti (allora), rinfacciando evidentemente ai democratici di non sorvegliare a sufficienza la linea etica del partito. Anche su queste basi, dunque, nessuna alleanza organica perché – come diceva Prodi tanti anni fa – «competition is competition» e l’obiettivo è superare il Pd alle prossime europee e consolidarsi stabilmente al secondo posto nella graduatoria dei partiti italiani: come dicevamo più sopra, i sondaggi lo danno in crescita mentre il Pd o sta fermo intorno al 20% o arretra anche se non tanto.

Quanto alle alleanze locali tra forze di sinistra, esse vanno avanti faticosissimamente, oltretutto intralciate dalla questione del terzo mandato che i governatori richiedono ad alta voce (soprattutto in Campania Vincenzo De Luca, fumo negli occhi della Schlein, e in Puglia Michele Emiliano). Insomma, obiettivo numero uno dell’avvocato del popolo: raggiunto. Poi c’è il secondo, che prevede un vero e proprio duello (da combattere di fronte ad un giurì d’onore alla Camera) nientemeno con la Presidente del Consiglio. Giorgia Meloni in aula a Montecitorio ha accusato Conte di aver lui («col favore delle tenebre») dato il via libera alla ratifica del Mes – cui pure il M5S era contrarissimo – quando ormai era dimissionario e in carica solo per gli affari correnti, e di averlo fatto dando incarico ad un ambasciatore mediante una comunicazione via fax che la premier ha sventolato di fronte ai deputati. Secondo Conte tutta la ricostruzione sarebbe falsa e proprio quel fax lo dimostrerebbe, e cioè che il via libera sarebbe stato dato in conseguenza di un voto parlamentare precedente le dimissioni del governo, quindi un atto dovuto prima ancora che legittimo. Ecco perché l’ex presidente del Consiglio, da avvocato, chiede di potersi confrontare di fronte ad un «tribunale» politico: per poter battere Giorgia Meloni con prove schiaccianti.

Come dicevamo, tutto questo bailamme è stato animato da Conte nel giro delle ultime quarantotto ore in una offensiva polemica incurante del vecchio motto della tattica politica e militare: mai impegnarsi su due fronti contemporaneamente. Ma il leader pentastellato si sente molto sicuro di se stesso e pronto ad occupare il posto cui più ambisce: quello di avversario numero uno del centrodestra al governo approfittando di una leadership della sinistra che considera debole e di un partito, il Pd, in difficoltà politico-programmatica.

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