Malati di social: tornare al reale

ATTUALITÀ. Dopo aver travolto a folle velocità la Smart a quattro porte con a bordo una madre con due figli, uno dei quali, il piccolo Manuel, ha perso la vita nello schianto, il giovane guidatore - di professione youtuber - e gli altri quattro ventenni a bordo della Lamborghini sulla quale viaggiavano, pare siano scesi coi telefonini in mano.

Dopo aver travolto a folle velocità la Smart a quattro porte con a bordo una madre con due figli, uno dei quali, il piccolo Manuel, ha perso la vita nello schianto, il giovane guidatore - di professione youtuber - e gli altri quattro ventenni a bordo della Lamborghini sulla quale viaggiavano, pare siano scesi coi telefonini in mano. Avevano viaggiato «iperconnessi» per 50 ore di fila. Volevano filmare l’esito dell’ultima sfida? L’incidente di Casal Palocco, alle porte di Roma, ha molti tratti surreali che però si scontrano con il reale, come la morte di un bimbo di 5 anni. L’uso dei social portato alle estreme conseguenze, a una dipendenza tossica, l’incredibile vita di quei ragazzi che affittano un bolide, lo riempiono di telecamere e lo fanno correre per ore e ore per vedere l’effetto che fa, fino a quando resistono, per sentirsi alla grande, come in «Fast and Furios», condividendo tutto in tempo reale con i social, alla ricerca di «like» e di contatti.

Dicono che sia l’effetto della pandemia, di un’energia repressa giovanile che si sfoga in tutti i modi, ma non può bastare per giustificare un comportamento, uno stile di vita simile, un fenomeno di massa così ampio, con un tale seguito. Il ragazzo alla guida aveva fondato un gruppo su Youtube che lanciava le sfide più assurde per qualche visualizzazione in più. E il gruppo, presente sui social, non fa che crescere da quando è finito su giornali e telegiornali. La curiosità morbosa e l’indifferenza supera l’indignazione, lo sgomento, la condanna di quanto avvenuto. Pare che il sito abbia guadagnato la bellezza di 15mila follower in tre giorni.

Uno dei motivi di questa frenesia digitale collettiva che prende sempre più giovani è l’algoritmo legato ai guadagni. Sopra un certo numero di contatti i social distribuiscono compensi, sotto no. Bisogna raggiungere determinati standard. Ed è dunque un esempio di come la «macchina digitale», l’intelligenza artificiale finisca per mettere pressione sull’uomo, col rischio di manipolarlo, fino a casi estremi e patologici che diventano sempre meno patologici. Il fulcro di questi canali sono sempre le «challenge», le sfide-scommesse demenziali adorate dai giovani. Ed è su questo che dobbiamo puntare la nostra attenzione. Che la trasgressione faccia rima con l’adolescenza è un fatto, lo è sempre stato, ma che la faccenda rischi di sfuggirci di mano - anzi probabilmente ci è già sfuggita - è un altro paio di maniche. Dietro a questi gruppi ci sono milioni di seguaci. Cosa spinge la nostra gioventù a questo imbarbarimento generale? Una delle risposte, ma non l’unica, è l’enorme potere di persuasione che hanno i nuovi sviluppi digitali legati ai social network sulla comunicazione di massa. Amplificano tutto, trasformano, ipnotizzano, omologano, moltiplicano a ritmi esponenziali, modellano coscienze. Fanno leva su comportamenti eticamente sbagliati, su desideri inconsci primitivi, spesso animaleschi e perversi, sulla totale mancanza di buon senso, sulla banalità, sulla stupidità (altro che intelligenza artificiale), semplicemente perché producono più like. E le agenzie educative - i genitori, la scuola, le autorità di vigilanza - fanno fatica a stare dietro a questo Moloch che cammina sulle ali del progresso digitale, capace di portarsi via le coscienze dei nostri figli.

Di fronte a notizie così noi genitori restiamo sgomenti. Su Tik Tok, vittima probabilmente di qualche algoritmo, mi sono imbattuto in alcuni «reels» di ragazzi che saltano da balconi di palazzi di 9 piani, rischiando la morte certa in caso di caduta, col pericolo che vengano emulati. Trattano la morte come se fosse rimpiazzabile, come se bastasse riaccendere il computer dopo il «game over». Ma nella vita il «game over» è per sempre, non si può riaccendere il computer e passare a un altro game. In «Gran Theft Auto», uno dei giochi più popolari al mondo, diventi campione quanto più guidi in modo spericolato, uccidendo chi trovi sulla tua strada. Certo, è un gioco. Ma intanto nascono piattaforme di giochi estremi che si avvicinano molto al virtuale, in cui se fai le imprese più strambe e poi le carichi su una piattaforma social hai successo, prendi dei like e magari fai anche dei soldi. Chi ha permesso che i filmati venissero diffusi in rete? C’è una confusione tra reale e virtuale inquietante che sembra contagiare sempre più ragazzi. Chi vigila su tutto questo? Chi permette che avvengano sfide simili e soprattutto siano diffuse in rete col rischio di emulazione? Possiamo analizzare quanto vogliamo il vuoto interiore di tanti giovani ma se prima non facciamo prevenzione, non vigiliamo e non puniamo chi permette tutto questo, finiremo per perdere i nostri ragazzi.

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