Manifattura italiana, i talenti introvabili

IL COMMENTO. La manifattura made in Italy, da sempre punto di forza del nostro sistema economico, si avvale di migliaia di piccole e medie imprese che rappresentano settori importanti del nostro tessuto produttivo, dalla meccanica all’edilizia, dal tessile-moda all’agroalimentare, dal legno-arredo al gioiello.

La loro attività, che continua a registrare successi e apprezzamenti in tutto il mondo, ha enormemente contribuito alla ripresa economica del Paese in uscita dalla fase più dura della pandemia. Da qualche tempo, tuttavia, molte di queste imprese lanciano ripetuti segnali di allarme sul tema del «capitale umano», non riuscendo a trovare i talenti necessari per accrescere ulteriormente la loro attività e consolidare la competitività. Secondo le ultime stime delle varie associazioni di categoria, servirebbero 240mila laureati in discipline scientifico-tecnologiche, 80mila diplomati di istituti tecnici superiori, 320mila diplomati tecnico-professionali. In un caso su due queste risorse non si trovano perché mancano i candidati in possesso di una formazione in linea con le richieste delle imprese.

Emblematica è la situazione delle aziende del settore orafo-gioielli (oltre 7mila) il cui export nel 2022 ha sfiorato i 9 miliardi e si appresta a superare i 10 miliardi nel 2023, in virtù di un forte aumento della domanda di preziosi. Nei prossimi cinque anni, tra nuovi inserimenti e turnover, queste aziende avranno bisogno di almeno 3mila giovani tra gemmologi, incisori, smaltatori, manager della qualità, ma i circa 40 istituti professionali statali e regionali che fanno formazione nell’ambito del comparto sono in grado di fornirne poco meno della metà. Per superare tale gap sono state intraprese varie iniziative da parte di piccole, medie e grandi imprese del made in Italy. Claudia Piaserico, presidente di Confindustria Federorafi, nel corso di un incontro tenutosi lo scorso mese a Milano, ha illustrato un maxi piano di comunicazione e orientamento che l’associazione farà partire nei prossimi mesi per far tornare i giovani a innamorarsi di questo settore assai prezioso ben oltre la materia trattata.

Nella stessa direzione va un’altra interessante iniziativa posta in essere dal gruppo francese Lvmh affiancato da Fendi, Confartigianato e Camera della moda, per valorizzare e preservare la bellezza del «savoir-faire» italiano. Questo legame tra le aziende italiane e il gruppo francese trae origine dalla circostanza che quest’ultimo - proprietario di oltre settanta marchi in aziende di alta moda (Fendi, Loro Piana, Pucci) e di gioielli (Tiffany) - opera nel nostro Paese con trentuno manifatture, per un totale di 13mila addetti. Punto centrale di questa importante iniziativa è l’istituzione del premio «Maestri d’eccellenza», che ha lo scopo di «sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della trasmissione del savoir-faire italiano nell’industria del lusso e, allo stesso tempo, di premiare chi della creatività ne fa uso quotidiano con ingegno e abilità». Le imprese coinvolte sono oltre 52mila e il loro intendimento è soprattutto quello di promuovere il rilancio degli Its con la riforma di tutta la filiera tecnico-scientifica e di realizzare il rilancio del dialogo scuola-lavoro.

Su questi temi ha annunciato un forte impegno il nuovo governo. In particolare, la premier Meloni si è impegnata per la creazione del «liceo del made in Italy, con l’obiettivo di avvicinare il mondo del lavoro a quello della scuola». Il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, in un’intervista al «Sole24 Ore» ha annunciato «la riforma dell’intera istruzione tecnica, con percorsi più flessibili e vicini alle esigenze delle imprese, oltre a un ulteriore rafforzamento degli Its ai quali saranno destinati 700 milioni al fine di potenziare competenze e didattica, migliorando l’offerta formativa sul campo». Alla mancanza di nuovi talenti concorre anche «l’inverno demografico», in atto da molto tempo nel nostro Paese, che ha come aggravante un tasso di disoccupazione giovanile del 22,9% e una quota di abbandono scolastico a doppia cifra che raggiunge al Sud il 20%. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza nazionale che richiede l’impegno non solo delle imprese e del governo, ma dell’intera classe politica.

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