Marcinelle, la triste polemica sul dramma

Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone «Bois du Cazier», in Belgio. Si trattò d’un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. Il rogo, sviluppandosi inizialmente nel condotto d’entrata d’aria principale, riempì di fumo l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani, tra i quali il bergamasco Assunto Benzoni. L’incidente è il terzo per numero di vittime tra gli italiani che andarono all’estero per cercare lavoro, diventato simbolo della vita dura dei nostri connazionali costretti a espatriare per trovare un’occupazione.

Nel 2001 fu Mirko Tremaglia, bergamasco, allora ministro di An per gli Italiani nel mondo, a indire proprio per l’8 agosto la Giornata del sacrifico del lavoro italiano nel mondo. Il 66° anniversario della strage di Marcinelle quest’anno è caduto nelle settimane agitate in vista delle elezioni politiche del 25 settembre prossimo. Il segretario del Pd, Enrico Letta, presente ieri alle celebrazioni alla miniera della tragedia, nei giorni scorsi ha scritto una lettera pubblicata da un quotidiano nazionale nella quale sostiene tra l’altro: «Per onorare quelle 262 vittime e anche, simbolicamente, tutti gli altri caduti, in altre viscere, a partire da quelle del Mediterraneo. Soldati, come loro, di una guerra per la sopravvivenza di fronte alla quale l’Europa e l’Italia non possono voltarsi dall’altra parte, se vogliamo che le nostre radici, che affondano anche nella terra di Marcinelle, non inaridiscano».

Pronta, ieri, la replica della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, sullo stesso giornale. «Di fronte a questo dramma quotidiano - ha scritto tra l’altro - è doveroso ristabilire il principio elementare che in Italia si può accedere e permanere soltanto rispettando le nostre leggi. Ma la cosa più distante con la tragedia degli italiani che emigravano per lavorare nelle miniere belghe, è che molti degli immigrati irregolari di oggi, per lo più giovani maschi in età da lavoro, considerano l’accoglienza stessa come un diritto inalienabile da cui far discendere presunti diritti molto più materiali, che costano alle casse dello Stato italiano, per ogni straniero accolto, più di quanto ricevano di pensione molti nostri anziani». Gli accostamenti tra le due immigrazioni, quella nella prima metà del ’900 interne all’Europa e le attuali dal Sud del mondo, è ardito, per diversità di epoche, di situazioni politiche e sociali. È scorretto anche paragonare gli italiani lavoratori in altri Stati con gli immigrati irregolari: semmai c’è un’uguaglianza con i 2,5 milioni di stranieri occupati nel nostro Paese, dei quali si parla poco, che contribuiscono a generare il 9% del Pil nazionale. Se si uniscono i dati del ministero dell’Economia e della Finanza, dell’Inps e dell’Istat, nel 2020, i residenti immigrati regolari hanno versato allo Stato circa 28,1 miliardi di euro, a fronte di circa 27,5 miliardi di costi sostenuti dall’Italia per il capitolo immigrazione.

Sul contrasto all’immigrazione irregolare nessun governo ha mai avuto la ricetta risolutiva, puntando sempre sull’esternalizzazione delle frontiere, a fermare cioè le partenze dalle coste del Nord Africa, quando ormai è tardi. Chi ha compiuto viaggi di mesi se non di anni, è disposto a tutto pur di percorrere l’ultimo miglio, l’attraversamento del Mediterraneo e il raggiungimento dell’Europa. Bisognerebbe invece creare canali d’ingresso regolare legati al diritto d’asilo per chi scappa da guerre e persecuzioni e al lavoro per quelle figure ancora oggi richieste dalle aziende (il lavoro degli stranieri non è competitivo rispetto a quello degli italiani, ma complementare). Bisognerebbe poi lavorare nei Paesi d’origine dei fuggiaschi con seri progetti di cooperazione, come quelli messi in atto da enti non profit e dalle missioni, che creano posti di lavoro.

Nei giorni scorsi Meloni, probabile futuro presidente del Consiglio, ha proposto come soluzione un suo vecchio cavallo di battaglia, i blocchi navali. Ha poi fatto retromarcia: sono infatti contrari al diritto internazionale, che li considera «un atto di guerra unilaterale». «L’emigrazione dei nostri connazionali e il sacrificio che questa ha comportato hanno segnato l’identità dell’Italia e anche lo stesso processo d’integrazione europea» ha invece ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Di fronte alla tragedia di Marcinelle ed ai 262 morti, il silenzio sarebbe stato un atto più civile delle polemiche elettorali

© RIPRODUZIONE RISERVATA