Mattarella, lo stile a difesa delle regole

ITALIA. Nel presenziare alla parata della Festa della Repubblica, il Capo dello Stato ha mostrato, ancora una volta, il valore del suo stile. Fatto di sorvegliata capacità di trovare la maniera giusta per rispettare la funzione che la Costituzione repubblicana gli attribuisce.

Il giorno precedente Mattarella aveva utilizzato parole molto chiare e decisamente dure nei confronti del governo di Israele (si badi bene, del governo Netanyahu, non dello Stato o del popolo israeliano). Non a caso il nostro presidente della Repubblica ha scelto di intervenire sul massacro in corso del popolo palestinese, parlando alla presenza di un corpo di diplomatici, ai quali resta il compito di riflettere sulle parole di Mattarella, quali che siano le loro opinioni.

Mai invasivo e, nello stesso tempo, mai evasivo. Basti pensare a come ha operato sulla vicenda del disegno di legge sulla sicurezza. Mano ferma nel rinviare il testo alle Camere, elegante disinvoltura nei confronti della delirante risposta di Matteo Salvini

Le modalità degli interventi del Capo dello Stato in questo passaggio di settimana possono, da sole, rappresentare il compendio di una precisa attitudine a interpretare il delicato compito presidenziale. Nel corso del suo primo settennato, e ancora di questo secondo, Mattarella ha dato prova di saper sempre usare l’atteggiamento più consono alla situazione da affrontare. Mai invasivo e, nello stesso tempo, mai evasivo. Basti pensare a come ha operato sulla vicenda del disegno di legge sulla sicurezza. Mano ferma nel rinviare il testo alle Camere, elegante disinvoltura nei confronti della delirante risposta di Matteo Salvini.

Fare confronti sui dodici presidenti che sono stati inquilini del Quirinale non è facile e può diventare anche inopportuno. Ognuno dei presidenti ha assolto il proprio mandato in maniera onorevole, tale da meritare il rispetto dei cittadini. Se si dovesse tentare un aggancio, sarebbero due i presidenti dei quali Mattarella sembra aver ereditato le rispettive inclinazioni. Egli si avvicina per rigore - nell’esercizio della sua funzione super partes - a Luigi Einaudi. Ritenuto, al suo tempo, il «notaio» della Costituzione, ma che fu alcune volte protagonista, durante il mandato, di soluzioni adeguate in momenti difficili delle vicende politiche. Oltre al solido intellettuale piemontese, Mattarella in qualche misura incarna la figura di Sandro Pertini, il partigiano, amato dalla «gente». Nel rispetto della figura dell’attuale Presidente, ci si limita a rammentare la sua capacità, probabilmente innata, di essere l’ago della bilancia del sistema istituzionale del Paese. Capacità, come detto da un famoso giurista, di manovrare a «fisarmonica» l’ambito dei suoi poteri.

Il legame con i cittadini

Analogamente Mattarella mostra, ad ogni suo passo pubblico, una contiguità istintiva con i cittadini. Che si traduce in aperta familiarità con i loro problemi. Di fronte all’ennesima conferma dell’ineccepibile rispetto, da parte del presidente Mattarella, della sua funzione istituzionale, arriva la stridente dichiarazione della premier Meloni, che annuncia la sua scelta di andare a votare per i referendum dell’8 e 9 giugno, ma senza utilizzare le schede per non incidere sul quorum dei votanti. Una dichiarazione inopportuna, quasi macabra, nei riguardi dei cittadini.

Il suo annuncio non soltanto è criticabile (nei modi più che nella sostanza), ma è soprattutto fuori luogo, perché è stato fatto a margine di una delle più importanti ricorrenze civili della Repubblica. Ancora una volta Giorgia Meloni dà conferma di avere una scarsa comprensione degli avvenimenti istituzionali. Ogni occasione è buona per parlare al «popolo». Alla faccia di ogni etichetta. Ciò sembra confermare l’idea che la premier non abbia la minima idea del ruolo istituzionale che attualmente ricopre. Il «siparietto» annunciato da Meloni non è altro che un cattivo esempio. Un ulteriore scivolone di sapore populista, che sarebbe stato meglio evitare.

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