
(Foto di Ansa)
ITALIA. Dopo il successo di Monte dei Paschi nell’Opa su Mediobanca siamo ora ai seguiti formali con il passaggio dal vecchio al nuovo, ma è alle viste un nuovo capitolo non meno strategico, il futuro delle Generali.
Intanto è comunque accaduto qualcosa di molto grosso con lo scontro fra due mostri sacri, uno dei quali, per di più il più piccolo, si è mangiato l’altro che inutilmente ammoniva che gli azionisti aderenti all’offerta ci avrebbero rimesso. Poi, a cose fatte, i vecchi amministratori hanno incassato grosse cifre aderendo essi stessi all’Opa contestata… Da un lato c’era la più antica Banca di un Paese che le banche le ha inventate: il Monte dei «pascoli» evoca il profumo di erba tagliata di fresco, di tesori caseari, di ricche colline di vigneti. Destino ha voluto che Rocca Salimbeni, occupata a lungo in esclusiva dagli uomini del Pci, quasi affondata da mosse azzardate, sia tornata protagonista vincente nell’epoca di un governo di destra, dopo un salvataggio pubblico costato ai contribuenti 6,3 miliardi, in gran parte peraltro recuperati. Se Giorgetti resisterà alla tentazione di gridare «abbiamo una banca», l’operazione di mercato darà alla fine risultati impensati.
Quanto a Mediobanca, nata come strumento innovativo in un’epoca in cui ancora nelle filiali si faceva tutto a mano, succhiando una matita copiativa, è stata l’invenzione di una classe dirigente liberalsocialista, ispirata e colta dentro la nuova Italia già dominata dai cattolici e dai comunisti. Ma i Mattioli, i Cuccia, i Malagodi e La Malfa, teste pensanti della Comit di Piazza della Scala (oggi Museo e ristorante!) avrebbero navigato a lungo e bene in quelle acque. Partita con obiettivo 35%, l’operazione è arrivata all’86,3% in mano a Siena e ora si parla di delisting e dal punto di vista sentimentale la sparizione di Mediobanca sembra quasi una sorte migliore che diventare un asset interno. In fondo è già successo a tanti marchi ben conosciuti da intere generazioni di correntisti, piccoli risparmiatori, piccole aziende. A Bergamo ne sappiamo qualcosa. Mediobanca, al suo bel tempo, era invece per pochi, il famoso «salotto buono» dei ricchi di un’epoca oggi spazzata via da un finanziere romano, Caltagirone, e dagli eredi di un ex Martinit, Del Vecchio, figlio del Veneto profondo e a quei tempi poverissimo.
Salotto buono che ha fatto quel che voleva per lunghi tratti della Repubblica, gestito autocraticamente dal mitico Enrico Cuccia, che riusciva a controllare le Banche pubbliche, democristiane e socialiste, e al tempo stesso dettar legge ai signori dell’industria privata, che -
Ammantandosi di una leggendaria riservatezza, il padrone dei padroni dispensava consigli che erano ordini, talora ricatti, sceglieva manager (uno per tutti: Romiti) che rispondevano più a lui che agli azionisti veri, metteva in riga ministri e politici
avendo ripetutamente guai e difficoltà, a cominciare da persone alla guida non tutte all’altezza - sembravano entrare in punta di piedi, non in un salotto ma in una classe per scolaretti ripetenti. Ammantandosi di una leggendaria riservatezza, il padrone dei padroni dispensava consigli che erano ordini, talora ricatti, sceglieva manager (uno per tutti: Romiti) che rispondevano più a lui che agli azionisti veri, metteva in riga ministri e politici. Il tutto senza arricchirsi personalmente, né lui né il fido successore Maranghi, che non volle buonuscite milionarie oggi normali. Influenzò la politica economica, anche perché i suoi scolaretti controllavano i giornali, in particolare il Corriere, e la longa manus arrivava fin lì.
Nella Piazzetta oggi dedicata al suo nome, tutti hanno bussato, alcuni anche disperati, per incontri di cui poco si sa, ma che dovevano essere spesso delle gelide lavate di capo. Il tutto con rigore laico, ma anche con grande cinismo da capitalista antica maniera e talora crudeltà. La distruzione di valore di una delle più grandi aziende italiane, la Ferruzzi - come scrivono Carlo Sama e Alessandra Ferruzzi in un libro recente - fu la scelta di un Cuccia in conflitto di interessi. A prendere il comando c’è da oggi un manager fino a ieri sconosciuto, Luigi Lovaglio, uscito da una battaglia in cui le azioni si sono contate e non pesate, come diceva Cuccia. Con la vicenda Generali si capirà ora se ha davvero vinto il mercato, purché il Governo stia doverosamente in disparte.
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