Meloni, guai con l’Europa: opposizione però divisa

POLITICA. Si riaccende la lite tra il governo francese e quello italiano, con i ministri del primo che insultano Giorgia Meloni al punto da indurre il capo della nostra diplomazia Antonio Tajani a cancellare all’ultimo momento una visita ufficiale in Francia.

Volano dunque ancora una volta gli stracci tra Roma e Parigi ma certo l’aria non è delle migliori né nei rapporti nostri con Bruxelles per le tante partite aperte in cui l’Italia rischia di rimanere all’angolo, né con Francoforte dopo l’ennesimo aumento dei tassi d’interesse da parte di una Banca centrale europea mai tanto contestata dalla politica del nostro Paese. Verrebbe insomma da dire che i veri avversari di Giorgia Meloni e dei suoi alleati stiano oltreconfine, in un’Europa del Nord che dopo il Covid riscopre la diffidenza verso l’ala mediterranea dell’Unione e sull’immigrazione continua a predicare bene e a razzolare malissimo, soprattutto la Francia che pure dovrebbe essere su molti temi (debito, soprattutto) nostra alleata.

Se il pericolo per la premier arriva soprattutto dall’estero è perché i numeri in Parlamento conquistati alle ultime elezioni la lasciano più che tranquilla. Eppure anche le opposizioni interne stanno cercando di rialzare la testa e di mettere in difficoltà la destra al governo, soprattutto dopo il decreto del 1° maggio sul lavoro e i provvedimenti restrittivi sull’immigrazione. Saranno testimonianza di questo tentativo di riprendere l’iniziativa le manifestazioni nelle città, a cominciare da Bologna, con cui le varie sinistre esistenti in Italia stanno cercando di chiamare all’appello il loro frastornato elettorato, ancora incredulo di vedere la lontana pronipote di Almirante seduta a Palazzo Chigi e Ignazio La Russa presidente del Senato.

Ci sarebbe da pensare che in questo sforzo anti-destra, le opposizioni provino in tutti i modi di marciare unite. E invece no. I Cinque Stelle hanno infatti deciso di farsi da parte e il loro leader Giuseppe Conte diserterà la piazza bolognese: pare che abbia il timore di fare da comprimario come già gli è successo il 25 Aprile. Già, perché accade che tra la Cgil di Maurizio Landini e il Pd di Elly Schlein stia sbocciando un feeling così forte da promettere di diventare un vero patto politico. Conte, che invece pensava di aver lui ormai in mano la rappresentanza più efficace di una sinistra piegata dalla crisi del Pd, è costretto ad assistere a questo patto politico senza avere grandi margini di movimento e di reazione. E così a Bologna i protagonisti saranno il vecchio sindacato post comunista e un Pd ormai segnato dal radicalismo di sinistra che sta via via perdendo per strada le sue anime liberal-moderate o anche cattolico-democratiche. Peraltro la piazza contro la politica economica del governo, accusata di incoraggiare la precarietà e colpire i poveri, serve alla Schlein a togliersi di dosso l’immagine di radical-chic che la accompagna sin dal suo apparire sulla scena e che si è accentuata di recente con la sciagurata intervista a «Vogue» - una rivista molto popolare tra i lavoratori - in cui raccontava della sua consulente ai colori dell’abbigliamento che si fa pagare 300 euro all’ora.

Dunque Landini-Schlein da una parte, Conte da un’altra. Però Conte - a differenza della Schlein - sta dimostrando di essere capace di interloquire con Giorgia Meloni in termini di potere ricavandone non pochi vantaggi, come si è visto con l’elezione di una sua fedelissima alla presidenza della Commissione di vigilanza sulla tv pubblica e come si vedrà nella lottizzazione che si annuncia imminente in quel settore sempre sotto i riflettori dei partiti.

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