Meno nascite, se la Cina assomiglia all’Europa

Attualità. Il Dragone è in declino? Crisi demografica, stagnazione economica e pandemia sono i tre fattori che portano a questa considerazione. Non è una faccenda che riguarda solo gli emuli di Marco Polo perché il Gigante cinese, la seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti, ormai lo abbiamo in casa, direttamente o indirettamente, in un Pianeta globale qual è il nostro.

Proviamo ad analizzare questi tre fattori. La popolazione cinese (un miliardo e quattrocento milioni di abitanti) si è ridotta di 850mila unità lo scorso anno per effetto drammatico delle nascite, un trend che secondo gli esperti è ormai irreversibile. Nel 2022 nella Repubblica popolare sono nati 9,56 milioni di bambini, mentre i morti sono stati 10,41 milioni. È la prima volta in oltre sessant’anni che i decessi superano le nascite. Accadde solo nel 1961, quando Mao Tse Tung decretò il «balzo in avanti industriale» e invece provocò un’immane carestia. La dislocazione di milioni di contadini per la produzione di acciaio e per le opere idrauliche pianificata da Mao e dai suoi accoliti infatti provocò in molte aree l’abbandono dei raccolti, affamando decine di milioni di abitanti di quelle campagne. Oggi la causa è diversa ed è la stessa che indebolisce l’Europa. I cinesi fanno sempre meno figli: 9,56 milioni di neonati l’anno scorso rispetto ai 10,6 milioni del 2021, ai 12 milioni del 2020, ai 14,6 del 2019. Una progressione che farebbe felice Malthus. I demografi dell’Onu dicono che la Cina verrà superata dall’India come nazione più popolosa del mondo. Un mondo peraltro sempre più in crescita (dagli attuali 8 miliardi agli 11 miliardi nei prossimi anni).

La riduzione delle nascite è figlia della politica del figlio unico (abolita nel 2015), imposta dal regime di Pechino con molta durezza (chi faceva un secondo figlio doveva rinunciare a un anno di reddito e darlo allo Stato o veniva addirittura sottoposto ad aborti forzati). Ma consentire il regime precedente non ha significato evidentemente tornare ai quattro o cinque figli per famiglia. I cinesi hanno ormai adottato gli stili di vita occidentali e in media fanno più di uno e meno di due figli per coppia. Un trend simile grosso modo in tutto il mondo, fuorché in Africa e in qualche Stato del Centro America.

Tutto questo naturalmente sta avendo gravi conseguenze anche dal punto di vista economico, dato che l’economia di un Paese si regge sulla domanda e offerta di beni e servizi. In questo scenario la Cina si ritroverà presto alle prese con un sistema sanitario da ribaltare, basato su anziani sempre più anziani, una stagnazione dei consumi e forti carenze nel mercato del lavoro. Un’Europa in Oriente, insomma.

Nel frattempo (anche se non possiamo parlare ancora di rapporto causa-effetto) l’economia cinese cresce sotto l’obiettivo del governo. Nell’intero anno il prodotto interno lordo è cresciuto del 3% mancando l’obiettivo ufficiale di circa il 5,5% e segnando il secondo ritmo più lento dal 1976. Pare che la causa sia la strategia zero-Covid di Pechino, che ha portato a lunghissimi e brutali lockdown, interrotta solo il mese scorso. Fatto sta che è crollato il settore immobiliare (i prezzi di vendita sono andati giù del 28%). Anche il commercio al dettaglio è diminuito, mentre la produzione industriale è ai minimi dagli ultimi sette mesi.

Tutto questo ci riguarda, come dicevamo, poiché l’import-export della Cina con l’Europa e con l’Italia è davvero notevole. Un rallentamento o uno stop di molte commesse ovviamente porterà anche noi e gli altri Paesi del mondo a rallentare. Pronti per la recessione globale? Al World economic forum di Davos gli economisti di tutto il mondo la danno quasi per scontata.

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