Migranti, Salvini prosciolto ha segnato un punto e ribadisce la linea leghista

«Quando tornerò al governo rifarò esattamente la stessa cosa». Matteo Salvini ha incassato il risultato di cui forse era meno sicuro: la vicenda giudiziaria di Catania si chiude per lui con un non luogo a procedere «perché il fatto non sussiste». L’accusa - per la quale in Senato M5S e Pd avevano dato parere favorevole alla richiesta della magistratura di procedere - era di sequestro di persona e si riferiva a quanto accadde nel 2019 ai 131 migranti trattenuti a bordo della nave «Gregoretti» nel porto di Augusta per decisione di Salvini allora ministro dell’Interno ma anche del resto del governo. L’accusa, appunto, è caduta. Ma non solo il giudice Sarpietro di Catania la considerava inesistente: la stessa Procura, ritenendo che Salvini non avesse violato alcuna convenzione internazionale o nazionale e avesse agito collegialmente col presidente del Consiglio e gli altri ministri, si era espressa a favore del non luogo a procedere.

Secondo l’avvocata Bongiorno, legale di Salvini e parlamentare della Lega, in realtà l’azione giudiziaria non doveva neanche cominciare. In effetti molti pensavano (e pensano a maggior ragione oggi) che quella del Viminale e del governo giallo-verde dell’epoca fosse una scelta politica legittima su cui non toccava alla magistratura di decidere, salvo naturalmente verificare se i ministri non avessero commesso reati. Ma ora il giudice ha stabilito che non era reato trattenere i 131 migranti a bordo della «Gregoretti» in attesa che si arrivasse ad un accordo con gli altri Paesi europei per una loro distribuzione nella Unione.

Insomma, Salvini segna un punto, tant’è che appunto ripete: «Quando torno al governo seguirò la stessa linea». Va da sé che questa linea non è condivisa dai partner dell’attuale maggioranza: né il Pd né il M5S versione attuale condividono la «linea dura» salviniana che si basa su un presupposto: i migranti non devono partire, né essere indotti a farlo, e se partono vanno sì salvati dal mare ma l’Italia non può essere l’unico Stato europeo ad accoglierli: «Io chiedo solo che noi ci comportiamo come la Francia, la Spagna, la Grecia, Malta» dice il capo leghista. Certo è che tutti gli accordi faticosamente raggiunti in questi anni - a cominciare dal protocollo di Malta siglato dall’attuale titolare del Viminale Luciana Lamorgese - funzionano assai poco: la solidarietà espressa a parole è poco praticata, tanto essa è concepita solo come «volontaria», e di buona volontà ce n’è poca. Più volte nei vertici Mario Draghi ha provato ad ottenere dai partner un maggiore coinvolgimento ma ha trovato soprattutto orecchie da mercante, se non altro perché in Europa siamo in tempi elettorali e, si sa, una politica migratoria troppo «avanzata» fa perdere voti.

Dunque, la palla resta a noi all’inizio di un’estate di sbarchi che si preannuncia bollente: la Libia è solo apparentemente stabilizzata e ci sono pressioni geopolitiche (turche) ad usare i «viaggi della disperazione» come strumenti di pressione sull’Unione europea che non solo non ha una linea comune ma conta al proprio interno Paesi come la Polonia, l’Ungheria, la Croazia, la Slovenia e altri che seguono politiche sovraniste di netta chiusura e di rifiuto di ogni forma di solidarietà. L’urto che ci sarà in giugno, luglio e agosto dovremo sostenerlo in sostanziale solitudine, e fatalmente costituirà un motivo di scontro tra i partiti della maggioranza: anche su questo Draghi dovrà incaricarsi di una difficile mediazione.

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