
(Foto di Ansa)
ITALIA. Sono 1.000 giorni tondi da quando Meloni è giunta al governo. Sono pochi i presidenti del Consiglio italiani che possono vantare di essere rimasti in carica altrettanto tempo: Craxi, Berlusconi, Renzi.
Tenuto conto che quando da noi chi assume la responsabilità della guida del Paese, di regola si pensa già al dopo perché l’incarico è a tempo, un tempo destinato a durare pochi mesi. Mille giorni quindi ci sembrano una misura congrua per stilare un bilancio dell’attività svolta da un governo. Ci perdonerà il lettore se ci permettiamo di esprimere un nostro personalissimo compiacimento: sia benedetto il giorno in cui Meloni ha deciso di fare il contrario di quel che aveva promesso. Di norma ci si augura che un premier faccia quanto si è impegnato a fare in campagna elettorale. Viste le promesse di Fratelli d’Italia, la deroga dalla norma è stata provvidenziale.
Meloni folgorata sulla via di Palazzo Chigi. Da partito populista FdI s’è reinventato in partito conservatore. Altro che rivoltare come un calzino l’Italia. La parola d’ordine è diventata: conservare, conservare, conservare
Promettevano alla larga dalla Ue (forse) e anche dall’euro, amicizia con Vladimir Putin, protezionismo, nazionalizzazioni, lotta ai monopoli tech, blocco navale, caccia ai mercanti di manodopera clandestina. Meloni folgorata sulla via di Palazzo Chigi. Da partito populista FdI s’è reinventato in partito conservatore. Altro che rivoltare come un calzino l’Italia. La parola d’ordine è diventata: conservare, conservare, conservare. Ha amministrato più che governato. Forte di una maggioranza solida, stabile, litigiosa a parole (ogni tanto) per quel che serve a lisciare il pelo al suo popolo di riferimento, per il resto solidale, Meloni, nei suoi primi mille giorni di governo, ha mantenuto uno stile di governo rassicurante. Pragmatismo più che avventurismo. Pochi azzardi, molte conferme.
Le grandi riforme (premierato, autonomia differenziata) in stand by. Unica eccezione la riforma della giustizia, messa in campo.
Le grandi riforme (premierato, autonomia differenziata) in stand by. Unica eccezione la riforma della giustizia, messa in campo. Per il resto, in linea con l’Europa, con l’atlantismo, con i «Volonterosi» decisi a non far mancare il sostegno all’Ucraina, salda tenuta dei conti pubblici, ogni accordo possibile per lo sviluppo dell’export italiano, solo sovranismo sull’immigrazione, ma con judicio. Purtroppo del conservare Meloni s’è presa anche il lato deteriore. C’è poco da conservare degli auto-dazi che l’Italia si impone: pochissima concorrenza, poco o nulla sul fronte vitale dell’innovazione, un vecchio, pletorico, inefficiente, costoso apparato burocratico, un sistema fiscale fatto per gli evasori, un sistema scolastico e un’università non fatti per creare figure professionali in linea con il proprio tempo, ma per parcheggiare giovani con poco - o senza - futuro, il vizio di immischiarsi nel gioco della concorrenza di imprese e banche, e si potrebbe continuare.
Se non vuole morire di conservazione, Meloni è su questo fronte che nei restanti giorni della legislatura deve effettuare le sue scommesse. Per conservare il futuro bisogna sapersi liberare da un passato in quei punti - e in Italia sono molti - che ci tengono bloccati. Altrimenti lega le sue fortune unicamente alla difficoltà dell’opposizione di animare un’alternativa di governo capace di conquistare la fiducia degli italiani.
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