Morire al lavoro, l’emergenza esige risposte

ITALIA. Il disastro della centrale idroelettrica di Suviana – uno dei più gravi di sempre in Emilia-Romagna - non fa che allungare la lista dei morti della maggiore tragedia collettiva del nostro Paese.

Come ha ricordato tante volte il Capo dello Stato Mattarella, le morti sul lavoro non sono quasi mai una fatalità. L’obiettivo di una Repubblica fondata sul lavoro è «zero vittime» e invece, dopo anni in cui il fenomeno registrava una curva discendente, è tornato ad assumere proporzioni sempre più vaste, complice la crisi economica, la scarsa vigilanza, una visione ottusa di tanti datori di lavoro ma spesso anche la poca attenzione delle rappresentanze aziendali che dovrebbero comportarsi come un pungolo e spesso lasciano fare.

Una vera e propria emergenza nazionale. Nonostante il numero delle vittime sia in crescita, non si è fatto ancora nulla per fermare questa escalation. Anzi, finora il 2024 può essere definito l’annus horribilis delle morti bianche: per l’Inail in questi primi due mesi dell’anno gli infortuni sono stati 92.711, con un aumento del 7,2 per cento rispetto a gennaio-febbraio dell’anno scorso. A perdere la vita sono stati 119 (19 morti in più). Tra l’altro la Lombardia è una delle regioni in cui si registra il maggiore incremento (più 11 per cento). In Emilia è ancora vivo il ricordo della tragedia al cantiere Mecnavi del 13 marzo 1987: 13 operai tra i 18 e i 60 anni, alcuni al primo giorno di lavoro, addetti alla rimozione dei residui di carburante, persero la vita durante la manutenzione straordinaria della nave gasiera «Elisabetta Montanari». Un incendio divampato nella notte li colse di sorpresa mentre lavoravano in cunicoli alti appena 90 centimetri, nei quali si potevano muovere solo strisciando.

Nonostante questi drammi, non si sono raggiunti obiettivi significativi per migliorare la sicurezza in Italia nel corso degli anni. La media annuale delle vittime è rimasta pressoché invariata rispetto a quindici anni fa, a parte la parentesi del Covid, quando i cantieri erano fermi.

Le cause generali di questo fenomeno – che interessa soprattutto la logistica, l’edilizia e i lavori pubblici - sono abbastanza definite. Il sindacato della Cgil dice che ancora non era chiaro per chi lavorassero le vittime di Suviana. E la cosa – al di là della tragedia della centrale elettrica su cui sta indagando la magistratura - richiama il fenomeno dei subappalti a cascata da parte delle grandi aziende a cooperative selvagge che non rispettano i requisiti di sicurezza. Il sistema è diventato un modo per l’azienda committente di lavarsi la coscienza e per le cooperative di svolgere l’attività senza costi aggiuntivi. Anche se la sicurezza è un valore aggiunto, poiché i dipendenti in condizioni di protezione lavorano con maggiore serenità e maggior profitto e alla fine anche il datore di lavoro, quando adotta tutte le misure necessarie e svolge la manutenzione prevista, aumenta la produttività. Quanto alle leggi, le norme in Italia ci sono. Il problema è rispettarle. E per farle rispettare sono necessari gli ispettori. È nota la carenza di controllori dell’Inail, dell’Inps, del ministero del Lavoro e di altri enti preposti. I progetti per sopperire a questa carenza riguardano interventi a campione in regioni predeterminate, in modo da effettuare incisivi blitz nei luoghi di lavoro in zone determinate, come uno sciame d’api, per poi passare successivamente ad altre aree. Un’altra proposta interessante fatta dai sindacati riguarda una sorta di «patente a punti» per le aziende in materia di sicurezza. Dove ci sono troppi incidenti o irregolarità le imprese si troverebbero in difficoltà nel partecipare alle gare d’appalto e avrebbero tutto il vantaggio a trovarsi in regola con la «fedina penale» della protezione. Anche le scuole devono fare la propria parte, educando gli studenti alla prevenzione. Si è parlato anche di creare una magistratura ad hoc poiché in caso di infortunistica le indagini sono lente e complicate e necessitano di specialisti sia in campo giuridico sia in campo tecnico. Oggi Bologna scende in piazza contro l’ennesima tragedia. Ma la sensibilizzazione dell’opinione pubblica non basta, occorre uno scatto in avanti della politica e una maggiore consapevolezza da parte degli imprenditori.

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