Nei 5 stelle crisi profonda. Ma tra Grillo e Conte compromesso possibile

Giuseppe Conte in conferenza stampa ha mostrato a Grillo il viso dell’arme: cionostante sono in parecchi a scommettere che, alla fine, tra i due un compromesso sarà trovato, soprattutto perché Conte lo avrà accettato. Ma andiamo con ordine. Alla vigilia della presentazione dello Statuto del Movimento ( di quello che era «il movimento del non statuto») è scoppiata inevitabilmente la grana dei rapporti di potere tra il Garante Grillo - l’«Elevato» - e il leader Conte, peraltro dal Garante già nominato dall’alto, e come se non? Grillo ha chiarito che vuole una diarchia, o meglio: lui si riserva le decisioni più importanti, al «leader» lascia il day by day.

Se Conte non ci sta, va esposto alla gogna: «Studi, piuttosto». Segue telefonata apparentemente pacificatrice («Giuseppe, se vuoi, puoi nominare i tuoi vicepresidenti, questa te la concedo») che però finisce male («caro Beppe, hai distrutto il progetto»). Infine, arriva la conferenza stampa. Eccoci alla cronaca di queste ore.

Conte fa sapere di non essere una controfigura, un burattino mosso dall’alto, un prestanome, uno che dà una riverniciata alle pareti quando c’è da rifare le fondamenta della casa. Ha in testa un progetto di partito e vuole che sia approvato dai militanti ora che la società Rousseau di Casaleggio jr è stata costretta dal giudice a fornire gli elenchi. Il suo partito «è di sinistra ma anche più largo della sinistra», insomma un po’ vago come impone il Conte style, però è un partito vero e proprio: un presidente, due vicepresidenti, una direzione, e persino una scuola di partito come ai tempi delle Frattocchie del vecchio Pci. Cioè quanto di più lontano dal movimentismo sciamannato del Grillo del Vaffa che ebbe tuttavia l’effetto di trasformare una sigla con zero voti in un partito col consenso di un terzo degli italiani tanto da andare al governo e addirittura presiederlo.

Insomma, Conte pensa a un partito novecentesco. Poi c’è il Garante, e qui arrivano i dubbi. Molti infatti sospettano che, tra le righe di questa intemerata in conferenza stampa contro il «padre geloso» che dovrebbe invece essere un «padre generoso», sia nascosta la clausola compromissoria sui poteri di Grillo. Vedremo, per ora è solo il sospetto di quanti scrivono che tutta questa bufera è un bluff, che quello di Conte è il solito penultimatum, che insomma il compromesso è nelle cose e che al massimo ci si è salvati la faccia. Grillo resterebbe il padrone, con accanto un leader-presidente.

E se invece il compromesso non ci fosse e anzi la rottura si stesse consumando? La domanda conseguente a questo dubbio riguarderebbe l’eventuale piano B di Conte. Cioè: se ne andrebbe? Fonderebbe un partito tutto suo? Chiamerebbe a raccolta i grillini «governisti» contro i «movimentisti» che così potrebbero riabbracciarsi con gli espulsi fedeli dell’eretico Di Battista?

Mai comunque la crisi dei pentastellati era stata così profonda. E di questo si preoccupano in parecchi. Mario Draghi, innanzitutto, che potrebbe vedere messa in difficoltà la sua maggioranza parlamentare e nello stesso tempo aumentata l’influenza della Lega sul governo. Ma anche Enrico Letta che col M5S di Conte sta cercando di costruire una coalizione anti-destra che dovrebbe farsi le ossa alle prossime amministrative e poi debuttare al gran teatro delle politiche del 2023 (passando per l’elezione del nuovo Capo dello Stato). Queste preoccupazioni potranno essere sciolte nei prossimi giorni o ingigantirsi a causa di un perdurante clima di incertezza, scontro, frantumazione di quello che è tuttora, nonostante defezioni ed espulsioni, il partito di maggioranza del Parlamento in carica (poi, col prossimo, vedremo).

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