Nervosismo tra grane nei partiti e manovra

ITALIA. C’è tanto nervosismo in giro per gli ambulacri della politica. A cominciare da Palazzo Chigi su cui è piombato come un asteroide il post rilanciato da Trump stando al quale l’Italia starebbe per rompere i vincoli comunitari sul commercio per trattare sui dazi direttamente con Washington, e oltretutto si preparerebbe anche a ridimensionare gli aiuti all’Ucraina.

Una nota del governo smentisce ma non del tutto il refolo proveniente da Washington: sulla pasta, alluminio, vino e altro, è vero che, come dice Tajani, «collaboriamo con Bruxelles ma parliamo anche con gli americani». Le opposizioni ovviamente chiedono spiegazioni e insorgono: questa volta lo fanno tutte insieme dopo aver lasciato sostanzialmente sola Elly Schlein nell’ultima sua intemerata contro Giorgia Meloni. In effetti ciò che ha detto la segretaria del Pd all’assemblea dei socialisti europei non solo ha messo in forte imbarazzo la minoranza riformista del partito ma ha cucito la bocca di Conte e di Fratoianni. L’aver accostato quasi come causa-effetto «l’estrema destra al potere» con la bomba sotto l’auto di Sigfrido Ranucci a dimostrazione che in Italia «sono a rischio la libertà di informazione e la democrazia», è sembrato sproporzionato persino a Fratoianni&Bonelli.

Botta e risposta

La premier, come nel caso di Landini che l’aveva offesa definendola «cortigiana di Trump», non ha rinunciato a ribattere colpo su colpo alle accuse della Schlein: «Il suo è un delirio». C’è chi dice che la segretaria dem si sia fatta un po’ trascinare dalla foga, e chi invece ci vede un calcolo: comportarsi da adesso in poi come la vera alternativa a Meloni nella prossima corsa per Palazzo Chigi, tagliando così le gambe a Conte. Il quale non ha solo da pensare all’ambitissimo ritorno alla guida di un governo, ma anche alle grane che gli sta procurando l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino: dopo aver minacciato le dimissioni da vicepresidente del movimento, le ha poi effettivamente date. Ora, lasciando stare il fatto che quella carica era già scaduta insieme a quelle di tutto il vertice grillino - è un’inezia - il colpo di testa della solitamente cauta Appendino ha colpito un po’ tutti. Il motivo della sua protesta sarebbe l’alleanza col Pd che a suo giudizio fa perdere voti ai Cinque Stelle (stessa tesi del candidato trombato alle regionali della Calabria, Pasquale Tridico) e dunque andrebbe ripensata e ri-negoziata. Un’idea che circola tra quei pochi grillini rimasti «puri e duri» ma che porta diritti diritti a votarsi alla sempiterna opposizione, a tornare come ai bei tempi alle sceneggiate guascone nell’aula di Montecitorio e a dire addio una volta per tutte alla trasformazione del movimento in un partito, anzi, «nel partito di Giuseppe Conte». Chiaramente questa prospettiva monastica non piace al gruppo dirigente e ai parlamentari, ormai liberati dall’odiata norma dei due mandati.

La premier, come nel caso di Landini che l’aveva offesa definendola «cortigiana di Trump», non ha rinunciato a ribattere colpo su colpo alle accuse della Schlein: «Il suo è un delirio»

Tutto questo riguarda l’opposizione, ma non per ciò il campo della maggioranza è tranquillo, anzi. La manovra continua a provocare fibrillazioni tra forzisti e leghisti (Tajani, persa la partita sulle banche, non vuole l’aumento della cedolare secca sugli affitti temporanei) mentre nella Lega Salvini deve fare i conti con lo scontento di Zaia.

È probabile che al fondo di tutto questo nervosismo ci sia la prospettiva abbastanza ravvicinata della riforma della legge elettorale per la Camera e il Senato che secondo Giorgia Meloni deve accompagnare la nascita del «premierato». Cambiare la legge elettorale non è mai un’operazione neutra: c’è sempre qualcuno che ci guadagna e qualcun altro che ci perde. E questo spiegherebbe molto di quello che si muove oggi tra e dentro i partiti.

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