Per Draghi turbolenze dai partiti in difficoltà

È un chiaro pasticcio che ognuno è legittimato a interpretare come gli pare. Dunque, riassumiamo: dice il sociologo De Masi a Marco Travaglio che Grillo gli ha detto che Draghi si è stancato di Conte e delle sue bizze e che gli telefona per suggerirgli di cambiare cavallo. Un passaparola un po’ tortuoso che però fa subito nascere «un caso». Tant’è che Conte dopo pochi minuti parla e va giù di piatto: è grave, si accalora, che un «presidente tecnico» si intrometta negli affari dei partiti che pure lo sostengono.

Insomma, protesta e chiede chiarimenti ma soprattutto avvalora il parlottio perché anzi rivela di aver avuto la notizia direttamente da Grillo. I contiani intervengono a catena a sostegno del loro capo. Domanda inevitabile: questo vi farà cambiare l’atteggiamento verso il governo? Risposta (di Conte): «No». Risposta di Grillo: «No».

Così il caso si gonfia ma nello stesso tempo aumentano i sospetti: non sarà una piccola recita tutta di copione grillino per mettere sulla graticola Draghi? Passa qualche ora e ci pensa direttamente il presidente del Consiglio a chiudere la faccenda: prima fa diffondere una smentita ufficiale da palazzo Chigi poi il premier, impegnato al vertice Nato a parlare di guerra, armi, carestia, e insomma di cose serie e gravi, rispondendo ad una domanda rivela che sì, con Conte ha già parlato, che poi si vedranno e che «certo che il governo non rischia» (con malcelata risatina sull’ultima frase).

Che sia stata una trappola cercata e costruita per dare un colpo a Draghi accusandolo addirittura di complotto e così allontanarsi ancora un po’ dal governo, non lo potremo mai sapere (ove mai questo giustificasse la fatica della ricerca), però sappiamo una cosa: che un Movimento Cinque Stelle nel caos e in pieno disfacimento politico, parlamentare ed elettorale è davvero una minaccia per la tenuta del governo. Per una ragione molto semplice: i voti di Conte e dei suoi alla Camera e al Senato, servono. Ed è noto che tra i grillini peones – cioè senza potere e soprattutto senza poltrone ministeriali – cresce la voglia di uscire dalla maggioranza nella convinzione che solo così si potrebbe arginare la frana elettorale di un movimento che solo nel 2018 alle elezioni politiche aveva superato il 30 per cento dei voti e che oggi ne potrebbe raccogliere poco più di un terzo (senza parlare dei voti alle amministrative, ormai del tutto residuali).

Quindi, al di là dei pasticci montanti o non ad arte, Draghi ha un problema molto serio: la «tenuta» di quel che resta del partito di maggioranza relativa, e la capacità di Conte di mantenere una leadership «responsabile» dopo l’uscita di Di Maio e dei suoi sessanta fedeli.

Va poi aggiunto che, per il presidente del Consiglio, c’è un altro problema di tenuta, questa volta sulla destra: le ultime amministrative hanno ulteriormente indebolito Matteo Salvini che potrebbe in non molto tempo essere, se non sostituito, quantomeno «affiancato» dai maggiorenti della Lega. Una turbolenza interna che, a sua volta, potrebbe costituire una minaccia per palazzo Chigi ovemai scoppiasse una guerra tra «governisti» e «movimentisti», tra chi cioè vuole stare con Draghi e chi invece pensa che questo governo sia la tomba delle aspirazioni della Lega per i troppi compromessi da ingoiare. Tra i quali, preparatevi, tornerà a breve un grande classico del recente passato: il Mes, quello strumento finanziario europeo utile in tempi di crisi contro cui proprio grillini e leghisti per mesi si scagliarono lancia in resta ingolfando le cronache politiche. E se Draghi avesse deciso che, per l’Italia, con i nuvoloni che ci sono nel cielo politico, è arrivato il momento di sottoscrivere il fatidico prestito?

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