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MONDO. Dopo un «purgatorio» di 4 anni, il leader populista Andrej Babis (imprenditore con interessi nel settore agro-alimentare, dell’edilizia e della logistica) è tornato al potere nella Repubblica Ceca.
Ha vinto con una inedita, rilevante percentuale di consensi (quasi il 35%), ma per formare il governo sarà costretto a contare sul supporto di due partiti di estrema destra. Insieme a Orban in Ungheria e a Fico in Slovacchia, rivitalizzerà probabilmente il Gruppo di Visegrad ricompattandolo soprattutto su una linea di incompatibilità verso alcune cruciali politiche dell’Unione Europea. Fa forse eccezione la Polonia dell’ex presidente del Consiglio europeo Tusk, ma non manca l’alleato a Varsavia nel palazzo presidenziale dove siede Navrocki, feroce critico delle istituzioni europee. È nota la forte insofferenza del magnate ceco nei confronti della bur ocrazia di Bruxelles. Così come è risaputa la sua amicizia personale con il leader ungherese Orban , mentre ha partecipato attivamente e condiviso gli esiti delle riunioni dei «Patrioti per l’Europa», alleanza politica della destra nazional-conservatrice. Il partito di Babis («Azione dei cittadini insoddisfatti») è in qualche misura assimilabile alla Lega in Italia e, non a caso, il vice premier Salvini ha immediatamente ed entusiasticamente commentato il risultato elettorale, sottolineando l’avanzata dei «Patrioti in Europa». Indicativo, invece, il silenzio della premier Meloni, i cui eurodeputati condividono a Bruxelles i banchi del «Gruppo dei conservatori e riformisti» con i rappresentanti dell’ex premier ceco Fiala. Non vi è dubbio che a Bruxelles si moltiplicheranno le iniziative dei Paesi dell’Europa centro-orientale con emendamenti a regolamentazioni ambientali e per liberare l’industria automobilistica dai lacci troppo stringenti di tappe forzate verso il trasporto elettrico. Ugualmente si insisterà con maggior forza per l’aumento dei Fondi di coesione, per le infrastrutture e lo sviluppo regionale.
L’imprenditore ceco, già sotto accusa da parte dell’Ufficio Europeo per la lotta antifrode (Olaf) per utilizzo improprio di Fondi europei, non esiterà probabilmente a profilarsi anche nella contestazione delle politiche di condizionalità che legano i Fondi dell’Unione europea al rispetto dello Stato di diritto. L’Ucraina e Zelensky perdono a Praga uno dei loro alleati più fedeli in Europa. Babis ha intercettato l’umore abbastanza diffuso di rigetto verso una pletora di misure economico-sociali a favore dei rifugiati ucraini. La Repubblica Ceca, in proporzione alla popolazione nazionale, è uno dei Paesi dell’Ue che ospita il più alto numero di profughi dal conflitto tra Mosca e Kiev. Esiste quindi indubbiamente un desiderio di «riequilibrio» nella relazione con Kiev. Babis ha promesso di ridurre sensibilmente gli aiuti militari a Kiev e di rimodulare al ribasso i privilegi a favore degli immigrati ucraini. Nonostante abbia pubblicamente affermato di non «amare» Putin e di non comprendere quale sia l’obiettivo reale del leader russo verso l’Europa occidentale, il leader ceco (in realtà nato e cresciuto in Slovacchia) non si è mai schierato apertamente tra i più duri oppositori della Russia, mostrando una certa ambiguità verbale per non alienarsi i segmenti più filorussi dell’elettorato ceco. Del resto i cechi, negli ultimi 4 anni, hanno pagato un prezzo molto alto in termini di inflazione e aumento prezzi dei beni di prima necessità sull’altare dell’emancipazione del Paese dalla dipendenza energetica da Mosca. Ciò non significa che il nuovo padrone della politica ceca seguirà Orban a livello europeo, esprimendosi contro nuove sanzioni a Mosca o programmi di deterrenza per scongiurare sorvoli di droni o attacchi cibernetici.
La narrativa a Praga sarà presumibilmente più morbida rispetto alle posizioni più radicali dei polacchi o dei baltici. La cortina di tornasole sarà probabilmente l’atteggiamento che il governo di Babis assumerà sull’ipotesi di sbloccare a favore di Kiev i Fondi russi congelati in Europa. Nel più ampio scacchiere europeo, la Repubblica Ceca rappresenta pur sempre un tassello minore di 11 milioni di persone, ma il «puzzle» di un disegno nazionalsovranista in Europa si è arricchito di un nuovo pezzo.
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