Peregrinatio
e pietà popolare

Un anno fa, il 24 maggio 2018, aveva inizio la peregrinatio dell’urna con le spoglie mortali del santo Papa Giovanni XXIII nella diocesi di Bergamo. Un’esperienza che ha visto la partecipazione di un numero considerevole di pellegrini, ben più ampia di ogni previsione. Tanto si è detto e scritto sull’iniziativa; ma non ci risulta sia seguita una verifica puntuale; perciò sembra saggio ritornarvi un istante e cercare qualche utile spunto di riflessione per un cammino spirituale ordinario.

Una prima considerazione tocca la figura stessa di Papa Giovanni. Egli è giunto progressivamente alla santità dentro un contesto fortemente segnato da varie forme della devozione popolare: il culto eucaristico e quello al Sacro Cuore, la venerazione della Vergine Maria, la preghiera del Rosario, i pellegrinaggi ai santuari, le feste patronali, le processioni, la Via Crucis… Attraverso le forme della pietà popolare, ha maturato una fede genuina, ha sviluppato un profondo senso di Dio e della sua Provvidenza, ha vissuto e proposto una spiritualità capace di inscriversi nell’esperienza del corpo, attraverso gesti semplici come camminare, sostare, toccare, inginocchiarsi.

Significativo è il suo modo di venerare le reliquie dei santi: alla visita «materiale» delle reliquie, egli accompagna lo studio della vita dei santi. Ciò gli consente di passare dall’ammirazione delle virtù incarnate dai santi alla loro imitazione, così da crescere nel cammino personale di sequela di Cristo. La peregrinatio poteva e può essere un’occasione propizia anche per interrogarsi sul significato pastorale della devozione popolare oggi. Le perplessità che qualcuno ha espresso in merito a questa iniziativa diocesana aprono alla domanda circa l’opportunità di pratiche devozionali nel contesto di una Chiesa di inizio III millennio. Al riguardo, non è fuori luogo richiamare l’intuizione di Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, là dove afferma che «le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un «luogo teologico» a cui dobbiamo prestare attenzione» (n. 126).

Non si tratta soltanto di attribuire alla pietà popolare un ruolo significativo in ordine alla evangelizzazione; più radicalmente, occorre riconoscere che per molti credenti proprio quelle pratiche sono un’espressione concreta della fede in Dio. Il Papa lo ribadisce con forza anche nella recente esortazione apostolica Christus vivit indirizzata ai giovani: «Queste forme di ricerca di Dio… non devono essere disprezzate, ma incoraggiate e stimolate» (n. 238). Di fronte a una religione che frequentemente appare astratta, dogmatica, molte persone avvertono il bisogno di un contatto più familiare con Dio. Il successo – innegabile sotto il profilo quantitativo – che la peregrinatio ha riscosso, suona come un ammonimento alle nostre comunità cristiane: la fede va proposta in forme e linguaggi accessibili a tutti, capaci di radicarsi nella vita quotidiana.

Se ben intesa, la pietà popolare può essere un prezioso antidoto contro l’insidia che Papa Francesco nomina come «neo-gnosticismo», una proposta per pochi eletti, disincarnata, «incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni» (Gaudete et Exsultate, n. 37). Un vero e proprio atto di accusa a chi guarda la pietà popolare dall’alto in basso, supponendo di sapere già a priori quali debbano essere le modalità di vivere ed esprimere la fede, adeguate all’uomo post-moderno. Il culto dei santi, proprio perché pone al centro un corpo in carne e ossa, un vissuto concreto, ricorda che la fede tocca la totalità dell’esistenza e che la sua trasmissione passa attraverso una testimonianza effettiva capace di attrarre e affascinare. Bisogna tornare a «far parlare i santi», dare la parola a testimoni autentici e credibili.

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