Preoccupa l’aumento
di candidati sindaci unici

I giochi sono fatti: a mezzogiorno di ieri, nei 38 Comuni bergamaschi che il 3 e 4 ottobre sono chiamati a scegliere sindaci e consiglieri comunali, è terminata
la presentazione delle candidature. Il «puzzle» di volti e simboli che nel prossimo mese animeranno la campagna elettorale è composito, ma una tendenza emerge già chiara: l’esplosione - accentuata con tutta probabilità anche dai problemi legati al Covid - dei Comuni «monolista», in cui a farsi avanti è un solo candidato sindaco. Quest’anno se ne contano una dozzina, più del doppio rispetto a cinque anni fa, quando erano cinque. E ancora più impietoso è il confronto con il 2011, quando erano soltanto due.

Le ricadute sulle elezioni nei paesi coinvolti sono molto pratiche: affinché il voto sia valido – e per evitare dunque l’arrivo del commissario prefettizio – bisogna confrontarsi col quorum. Sfida che non di rado preoccupa i candidati, visto che la mancanza di competizione tra avversari rischia di far perdere «appeal» all’appuntamento elettorale.

Anche se in Bergamasca, va detto, nella maggior parte dei casi in passato la sfida del quorum è stata vinta, e quest’anno, per far fronte alle difficoltà legate alla pandemia, la soglia di votanti necessaria è stata anche abbassata. Ma pure lasciandosi alle spalle lo scoglio dell’affluenza, quel che poi ci si troverà di fronte saranno Comuni retti per i prossimi cinque anni da un unico gruppo, senza il pungolo della minoranza. Uno scenario che oggi è già realtà in una cinquantina di paesi orobici (su 242), e che con il voto di ottobre è destinato a diventare ancora più diffuso, finendo per riguardare più di un’amministrazione su quattro. Si può anche immaginare che per i sindaci e assessori questo non sia il più grave dei problemi: si governa comunque, col supporto del proprio gruppo.

Anzi, magari si evita pure qualche polemica un po’ stucchevole, o qualche baruffa che finisce per scaldare gli animi, con le sedute-fiume del Consiglio comunale che terminano a notte fonda. Ma è proprio qui che, a guardar meglio, sta il nodo della questione. Perché i nostri paesi, con i loro amministratori il cui lavoro spesso include una larga fetta di volontariato, sono preziosi laboratori di dialogo e democrazia. Perché chi ha pensato il sistema di funzionamento dei municipi, per quanto piccoli, lo ha disegnato con la possibilità di un confronto, un contraddittorio, addirittura un controllo, da parte dell’opposizione (a patto ovviamente che non si tratti di liste civetta…) sull’agire della maggioranza. Perché poi, di fatto, in paese chi la pensa diversamente c’è comunque (come è giusto e ovvio), ma la contestazione finisce per spostarsi su altri canali, in primis i social, magari riuscendo comunque a far sentire la propria voce, ma impoverendo il confronto dentro l’aula consiliare, dove davvero c’è la possibilità di conoscere a fondo le questioni.

Le corse solitarie sono una possibilità prevista, ma a colpire è il fatto che non rappresentino più un’eccezione, e che si vadano espandendo anche a realtà di rilievo o in passato molto vivaci. Sono già senza opposizioni, per esempio, Comuni come Scanzorosciate, che supera i diecimila abitanti, o Fara d’Adda, che si aggira sugli ottomila. E si va in quella direzione, con questo voto, in realtà quali San Pellegrino, Chiuduno, Bottanuco. La tendenza naturalmente si può sempre invertire, già dall’elezione successiva, e le eccezioni non mancano; ma il sempre minore numero di persone che si appassiona alla possibilità di impegnarsi per il luogo in cui vive è un tema che deve far riflettere. Cominciando, se non altro, a lavorare sugli innumerevoli ostacoli che oggi chi amministra si trova ad affrontare.

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