«Primavera» energetica
per un paese energivoro

La stangata di questi mesi delle bollette di luce e gas sta spingendo in alto i prezzi di quasi tutti i beni e servizi. Soffrono tutti a causa di questa impennata inflattiva, ma soprattutto i meno abbienti (l’inflazione è detta la «tassa dei poveri»). Così famiglie, imprese, ristoratori, enti locali rischiano di tagliare l’illuminazione delle strade e altri servizi di primaria importanza. Non si salvano nemmeno le rose, schizzate a prezzi astronomici, dato che i fiori nei vivai necessitano di una certa temperatura – e quindi del riscaldamento
delle serre – per sbocciare. Sarà un San Valentino salato.

Le cause di questa impennata astronomica (maggiorazioni di 1.500 euro a famiglia in un anno) sono, direbbero gli economisti, «esogene» ovvero non dipendenti da noi, che siamo un Paese «energivoro» privo di materie prime. Dipendiamo dall’estero per il 90 per cento del gas e il 97 del petrolio. Il rincaro all’origine di tutto è quello del gas, da cui dipende anche la produzione di energia elettrica, in costante incremento a livello mondiale per via della maggiore domanda proveniente dalla Cina e dall’India, in pieno boom economico. Cresce a dismisura la domanda e dunque salgono i prezzi.

E come se non bastasse, i grandi produttori di gas naturale (Russia, America, Australia) si stanno orientando verso mercati che considerano più redditizi, dall’Asia al Sud America. Anche l’Europa, dopo il lockdown, ha ripreso la sua corsa. Ma in attesa che arrivino le fonti di energia rinnovabile (impianti solari, pale eoliche) è quasi totalmente dipendente dall’estero, senza contare che i produttori di energia, che utilizzano grandi centrali a carbone, pagano all’Unione europea delle quote dette «di emissione» per rimborsare la produzione di Co2. Tali quote negli ultimi mesi sono più che raddoppiate e naturalmente finiscono per essere scaricate sugli acquirenti finali.

Per poter ridurre almeno in parte il peso di questi incrementi, il governo ha messo in campo un decreto «antirincari» che potrebbe valere tra i 5 e i 7 miliardi, come ha spiegato la sottosegretaria al ministero dell’Economia Maria Cecilia Guerra. Si comincia da circa 4 miliardi che arrivano in parte (per circa 1,5 miliardi) dalla prima mini tassazione degli extraprofitti realizzati dagli impianti a fonti rinnovabili. Altre risorse arrivano dalla destinazione dell’intero incasso delle aste di Co2 (il pagamento delle quote di emissione per rimborsare la produzione di anidride carbonica cui abbiamo accennato) alla riduzione delle bollette, misura che l’Arera invita a rendere «strutturale». È ancora troppo poco, come si lamentano i Comuni, perché l’inflazione è tornata a mordere e ha raggiunto il 4,6 per cento su base annuale.

Il presidente di Arera Stefano Besseghini lascia intravvedere uno spiraglio di ottimismo: «I prezzi dovrebbero cominciare a scendere in primavera», ha spiegato recentemente. Ma è evidente che per il futuro dell’Italia, un Paese che dipende per il 90 per cento da forniture estere, c’è bisogno di interventi strutturali, in grado di renderlo indipendente, almeno in parte, sul consumo di energia. A questo serve la transizione ecologica, che significa costruzione di impianti eolici e solari capaci di produrre corrente elettrica, in sostituzione delle vecchie centrali a carbone. Ma il traguardo appare ancora lontano. Nel frattempo, a breve termine, visto che Palazzo Chigi esclude ulteriori scostamenti di bilancio e non sa più dove andare a scovare altri stanziamenti da ricavare nelle pieghe dei capitoli di spesa, non ci resta che sperare nella primavera.

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