Processi lenti
I conti da rifare

L’inaugurazione dell’anno giudiziario è l’occasione per fare il punto dei reati compiuti nel territorio e sullo stato di salute della giustizia. Nella Bergamasca - come è stato evidenziato ieri a Brescia, sede del distretto che ha giurisdizione sulla nostra provincia - calano i reati contro il patrimonio (è una conferma) ma aumentano quelli finanziari, che hanno portato a un sequestro di 191 milioni di euro in un anno. È un cambiamento segno di tempi nei quali la finanza e la circolazione di denaro hanno assunto centralità. Ma come è accaduto in altri distretti ha tenuto banco anche la riforma della prescrizione, fortemente voluta dai 5 Stelle.

Senza le proteste eclatanti avvenute in altre sedi: a Napoli gli avvocati si sono presentati in aula con le manette ai polsi e il cartello «Rispettate la Costituzione». Il presidente della Corte d’Appello di Brescia Claudio Castelli ha liquidato la riforma definendola «un dettaglio». Le ragioni della crisi del sistema penale sono altre: oggi i tribunali penali sono diventati il luogo dove precipitano tutti i conflitti e le tensioni, anche quelli che potrebbero essere risolti in ambito amministrativo, un abuso della penalizzazione per trasmettere un’immagine (falsa) di sicurezza alla popolazione. Oltre a depenalizzare, si dovrebbe ricorrere a strumenti che evitino il protrarsi delle indagini o la celebrazione del dibattimento, quali la messa alla prova, il patteggiamento e il giudizio abbreviato. Pratiche di giustizia riparativa poi sono molto utilizzate da anni in altri Paesi. Per velocizzare i processi non si può però eludere la questione centrale: la carenza di organici. In Procura a Bergamo mancano 2 pm sui 17 previsti e la scopertura del personale amministrativo è del 27%. Con questo effetto: ci sono 3.676 fascicoli definiti ma fermi, in attesa della fissazione di un’udienza, prevista ora nel 2023.

È invece un vero scontro quello andato in atto nei giorni scorsi fra la Camera penale di Milano e il Consiglio superiore della magistratura. Gli avvocati hanno chiesto al Csm che non fosse Piercamillo Davigo, consigliere togato dello stesso Csm e giudice presidente di sezione in Cassazione, a rappresentarlo all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il motivo della richiesta, alcune interviste di Davigo che ha attribuito la maggior parte delle colpe nei ritardi dei processi proprio agli avvocati, interessati alle dilazioni per maggiori guadagni, proponendo anche che siano i legali a pagare in solido nel caso il ricorso in Appello o in Cassazione del loro cliente venga respinto. «Le esternazioni - scrive la Camera penale - negano i fondamenti costituzionali del giusto processo, della presunzione di innocenza e del ruolo dell’avvocato nel processo penale». Il Consiglio superiore della magistratura ha respinto la richiesta al mittente («irricevibile») in nome della libera manifestazione del pensiero. Un principio sacrosanto, ma abbinato alla responsabilità del pensiero. Davigo non è nuovo a dichiarazione tranchant (eppure quando era pm di Mani Pulite era chiamato dottor Sottile) e giustizialiste per le quali è noto come un «duro», un giudice con tanti fans. Sostenne che «non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti» riferito ai politici, disse che le detenzioni di innocenti non sono ingiuste «ma automatiche» e che gli errori non sono commessi dai giudici ma dagli imputati che ingannerebbero. O ancora, l’assoluzione che non è sinonimo di innocenza fino al paradosso per il quale conviene uccidere la moglie anziché divorziare, visti i tempi lunghi della giustizia per la separazione, una tesi che altri magistrati ritengono giuridicamente infondata. Ma è di presa mediatica. Sta di fatto che quando ieri Davigo ha preso la parola nell’Aula magna del Tribunale di Milano, gli avvocati penalisti sono usciti.

Un’altra polemica si è scatenata invece nei giorni scorsi per un’affermazione in tv del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (5 Stelle), secondo il quale «gli innocenti non finiscono in carcere». Il Guardasigilli successivamente si è corretto spiegando che si riferiva «a coloro che vengono assolti». Ma dovrebbe sapere che il 38% dei detenuti in Italia è in attesa di giudizio (quindi ancora innocenti: si è eventualmente colpevoli dopo il terzo grado di giudizio, come stabilisce la Costituzione). E in media di questo 38%, la metà viene assolto nel corso dell’iter giudiziario. In Europa siamo tra i Paesi che più abusano della carcerazione preventiva. Inoltre dal 1992 al 2018 si sono verificati 27.200 casi di persone finite in cella: ma si trattava di ingiusta detenzione e lo Stato ha dovuto risarcirle con un esborso complessivo di 740 milioni di euro. Dal 1991 al 2018 invece 144 detenuti sono stati vittime di errore giudiziario, con indennizzi per 46 milioni. A fronte di questi numeri, sono state solo 16 le rilevazioni di illecito disciplinare, di cui 4 concluse con l’assoluzione e 7 ancora in corso di accertamento. Il ministro ne ha di strada da fare.

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