Quali lezioni dal sorpasso del Messico sulla Cina

IL COMMENTO. Chi abbia a cuore le sorti dell’economia italiana, in particolare del motore del suo sviluppo che è l’industria manifatturiera, non può non interessarsi a quanto sta accadendo da qualche mese al confine meridionale degli Stati Uniti. Le nuove tendenze dei flussi commerciali «da» e «verso» la prima economia del pianeta, infatti, riservano utili insegnamenti anche per noi. Cerchiamo di analizzare perché.

Per la prima volta dagli anni Dieci del nostro secolo, il Messico è diventato il più importante esportatore verso gli Stati Uniti, scavalcando la Cina. Vetture e componentistica per auto, attrezzature informatiche ed elettronica sono i beni che in maggiori quantità varcano ogni giorno, in direzione «nord», la frontiera messicana. Da gennaio a maggio, Città del Messico ha venduto prodotti a Washington per un valore di circa 195 miliardi di dollari, contro i 169 miliardi venduti da Pechino. Nello stesso periodo dello scorso anno, il Messico aveva esportato verso gli Stati Uniti beni per 185 miliardi, la Cina per 223 miliardi. La recente conquista dello scettro di «Top exporter to U. S.», secondo un’analisi pubblicata dalla Federal Reserve, consolida il ruolo del Messico come primo partner commerciale degli Stati Uniti. Una rivoluzione silenziosa avviata nel 2018, con l’acuirsi delle schermaglie tariffarie tra Stati Uniti e Cina sotto l’Amministrazione Trump, e sancita nel 2019 quando la somma di import ed export tra Stati Uniti e Messico (613 miliardi di dollari) ha superato per valore gli scambi tra Stati Uniti e Cina (556 miliardi). L’arrivo di Biden alla Casa Bianca, da questo punto di vista, non ha cambiato molto; all’opposto, la pandemia da Covid, la stretta autoritaria della Repubblica popolare cinese e l’invasione russa dell’Ucraina, con gli annessi contraccolpi su scambi di merci e catene di approvvigionamento globali, hanno accelerato il reindirizzamento delle rotte commerciali e delle relazioni industriali che spesso vi sono dietro.

Certo, in Cina il forte sviluppo economico e gli imponenti squilibri demografici hanno reso meno «conveniente» che in passato la forza lavoro locale. Tuttavia dietro il sorpasso messicano c’è un’altra spiegazione di cui tenere conto, in base alla quale variabili come il costo della forza lavoro, e in generale il «fattore prezzo», pesano meno di qualche anno fa nell’orientare le scelte di investitori che scommettono su un Paese piuttosto che su un altro. Ad assumere maggiore importanza sono invece variabili come la vicinanza geografica o politica tra Paesi, e di conseguenza la maggiore o minore sicurezza delle catene del valore che sono dietro molti dei prodotti che utilizziamo ogni giorno. In inglese si parla di «reshoring» o «nearshoring», ed è in parte quello che sembrano descrivere i nuovi dati sui flussi di merci alla frontiera messicana. Gli Stati Uniti, pur rimanendo in un rapporto economico per tanti versi simbiotico con la Cina, «accorciano» le catene del valore e «avvicinano» almeno un po’ i processi produttivi, intensificando parallelamente gli scambi commerciali a beneficio di Paesi come il Messico.

Da tutto questo per l’Italia discendono almeno tre lezioni. La prima consiste nel realizzare che la struttura stessa della nostra economia imporrà sempre più spesso scelte dettate da fattori come la sicurezza e la geopolitica. Infatti «più di un terzo del manifatturiero italiano - si legge in una recente analisi del Centro studi di Confindustria - partecipa alle catene globali del valore, che amplificano gli effetti degli shock tra nodi produttivi». Non solo: gli stessi industriali hanno censito «333 prodotti critici», «per i quali l’industria risulta stabilmente vulnerabile negli ultimi anni, che rappresentano circa il 9% del valore dell’import italiano». Ridurre questa «dipendenza» diventa quindi una priorità.

Seconda lezione: riorientamenti complessivi e di simile importanza è meglio elaborarli per tempo e in modo proattivo invece che subirli. Si pensi al caso limite di quanto avvenuto in campo energetico all’Europa, quando un anno e mezzo fa la nostra dipendenza dal gas russo è stata brandita come un’arma da Mosca.

Terza e ultima lezione: i Governi possono favorire o accompagnare un ripensamento «strategico» dei legami industriali e commerciali, ma la sfida - creativa e finanziaria - grava in massima parte sugli imprenditori. Oltre che sui consumatori, visto che a tale nuova evoluzione possono essere associate ulteriori tensioni al rialzo sui prezzi.

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