Quant’è triste il passo di chi
se n’è andato in solitudine

Bergamasco tra i bergamaschi. Sicuri di non fare torto ad alcuno, non c’è dubbio che Sergio Mattarella - il Capo dello Stato che per la terza volta in meno di quattro anni sceglie di venire a Bergamo - lo si possa definire «uno di noi», oggi più che mai, anche se questa sera, ai piedi del Famedio del Cimitero monumentale di viale Pirovano, rappresenterà il muto dolore di tutti gli italiani nel ricordo delle seimila vittime che la pandemia di Covid-19 ha falciato nella nostra provincia. Il Presidente della Repubblica lo farà senza fronzoli, senza inutile retorica, com’è nel suo, e nel nostro, stile. Non servono molte parole per condividere e far partecipe una Nazione intera di una sofferenza che per giorni e giorni ha inciso profonde ferite nella carne viva di noi bergamaschi. Qui molto più che altrove. E Mattarella - che in quei giorni tenne contatti strettissimi con la nostra città - lo sa bene. Come sa bene - e lo ha ricordato con grande fermezza anche a Codogno lo scorso 2 giugno - che «questo è tempo di un impegno che non lascia spazio a polemiche e distinzioni», un tempo in cui «tutti siamo chiamati a lavorare per il nostro Paese, facendo appieno il nostro dovere, ognuno per la sua parte». I bergamaschi l’hanno fatto - eccome - il proprio dovere, e continuano a farlo, giorno dopo giorno, dimostrando un infinito senso di responsabilità e affrontando con dignità e serietà i sacrifici che la ricostruzione post Covid richiede a ciascuno di noi.

Nel breve tragitto tra l’aeroporto di Orio e il Cimitero, il Presidente Mattarella non vedrà cumuli di macerie ai lati delle strade, ma certamente saprà scorgerne i segni negli occhi dei 243 sindaci che incontrerà al «Monumentale». Sono i numeri della nostra economia a parlare chiaro: nel primo trimestre dell’anno (che del lockdown comprende il solo mese di marzo), il calo della produzione per le imprese industriali è di oltre il 10%, mentre per le aziende artigiane supera il 14%. In tre mesi soltanto, dunque, i livelli produttivi della nostra provincia sono tornati indietro di sette anni, ai valori minimi toccati agli inizi del 2013. E il «confinamento» di aprile, unito alla timida gradualità della ripresa nel mese di maggio, non fa altro che presagire una caduta ancora più accentuata nel secondo trimestre. L’indice della produzione industriale scende da quota 106,9 di fine 2019 a 96,4, con un calo rispetto al trimestre precedente di quasi dieci punti percentuali.

Ma sono tutti i settori ad evidenziare significative variazioni in negativo, persino quelli meno colpiti dall’emergenza. Il calo registrato dal fatturato delle imprese industriali è del 7,7% (su base annua), mentre gli ordinativi italiani si sono ridotti del 10,5%. Sul fronte dell’occupazione, la percentuale di imprese che dichiara di aver fatto ricorso alla cassa integrazione, è passata dal 5% del 2019 al 60%, ma le aspettative degli imprenditori si attestano a -22,1%. Così come sono negative, e di oltre 50 punti, le loro previsioni su produzione (-58,8%), domanda interna (-66,7%) e domanda estera (-52,5%). Soffre anche l’artigianato, il cui indice provinciale di produzione scende, in un solo trimestre, da quota 104,4 a quota 87,6, mentre il fatturato fa segnare un calo in linea con quello della produzione: -15,1%. Giù anche i servizi: -12,1% la variazione del fatturato.

Numeri che si traducono in una difficoltà evidente, di cui occorre avere piena consapevolezza, ben sapendo che la ricostruzione non solo sarà faticosa, e a tratti dolorosa, ma anche lenta e altalenante. Coraggio, tempestività e lungimiranza sono i tratti distintivi che non potranno e non dovranno mai venir meno nel rimettere in movimento non solo la nostra economia, ma anche il nostro tessuto sociale, che deve tornare ad essere così «elastico» da riuscire ad abbracciare i bisogni di tutti, a cominciare da quelli di chi è stato più duramente colpito.

Nei mesi di marzo e aprile non abbiamo potuto far altro che versare infinite lacrime, ma ora quella sofferenza deve trasformarsi in un carburante tutto speciale da mettere nel motore della nostra ripartenza. Il ricordo dei nostri morti deve diventare la spinta più incisiva per rimetterci in piedi, ricominciare a correre e tornare grandi. Il Covid ha spazzato via la generazione di bergamaschi che, dopo la guerra, con fatica, abnegazione e ingegno, ha posto le fondamenta di un benessere di cui abbiamo tutti beneficiato fino ad oggi. Ripartire dal loro esempio e dai loro insegnamenti sarà il «monumento» migliore per perpetuarne la memoria. Lo dobbiamo a tutti coloro a cui non siamo riusciti a dare un bacio, una carezza, un abbraccio prima che questo maledetto virus ce li portasse via. Lo dobbiamo a chi non abbiamo potuto accompagnare né in chiesa né al cimitero. Lo dobbiamo a tutti quelli sulla cui tomba, per settimane, non è stato possibile posare nemmeno un fiore. Lo dobbiamo a chi, chiuso in una bara e caricato su un carro dell’Esercito, è stato costretto a compiere un ultimo, lunghissimo, viaggio prima di poter essere sepolto nel campo santo del proprio paese.

Quando, questa sera, il direttore artistico del «Donizetti» leggerà l’«Addio ai monti» del Manzoni, a ciascuno di noi non potrà che apparire il volto caro di chi ci ha lasciato: «Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana…».

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