Quell’arma a un bambino la deriva americana

Mondo. Non è stato un incidente. Non è l’esito del caso il colpo di pistola che un bambino di sei anni ha sparato contro la sua maestra, ferendola gravemente, in una scuola in Virginia, negli Stati Uniti.

Un’azione compiuta dopo una lite fra il piccolo alunno e l’insegnante. L’inchiesta giudiziaria dovrà rispondere a tre quesiti: come lo studente si sia procurato l’arma, come abbia imparato a usarla e se la famiglia abbia avuto un ruolo. Ma la grave vicenda chiama in causa responsabilità superiori: «Questa è una pagina nera della nostra storia e credo che sia un allarme rosso per tutti gli Stati Uniti» ha detto Phillip Jones, sindaco di Newport News, la città di 185mila abitanti dove ha sede la scuola che agli ingressi è dotata di metal detector, presenza che segnala quanto le armi negli Usa siano diffuse anche in mani pericolose. Per il sovrintendente scolastico di Newport News, George Parker, «i nostri alunni hanno imparato una lezione sulla violenza delle armi e su come possano sconvolgere non solo l’ambiente scolastico, ma anche una famiglia, una comunità».

A parlare così è l’altra America, quella contraria alla privatizzazione della sicurezza. Ratificato nel 1791, il secondo emendamento della Costituzione garantisce però a ogni cittadino il diritto di possedere armi. Il testo è ancora oggetto di interpretazioni e dure polemiche. Denuncia una contraddizione: facendo parte dei dieci emendamenti del «Bill of Rights» (la Carta dei diritti che comprende i primi 10 emendamenti alla Costituzione), fu concepito per tutelare la libertà, ma si è trasformato in una minaccia costante per i destinatari della garanzia stessa. Secondo una ricerca del «Pew research center» il 42% degli americani vive in una famiglia che possiede almeno un’arma. Per un istituto di studi internazionali di Ginevra, lo «Small arms survey», negli Stati Uniti ci sono 393,3 milioni di armi, ben oltre i 330 milioni di abitanti. Un primato mondiale. Ma un altro dato è impressionante: l’età media di chi commette delitti con un fucile o una pistola non ha più di 25 anni.

Se le reazioni a tragiche vicende come quella che ha avuto per inquietante protagonista l’alunno di 9 anni, sono generalmente improntate allo sdegno e al «mai più», c’è però sempre l’altra America maggioritaria che si impone. Dopo l’assalto alla «Sandy hook elementary school», in Connecticut, nel quale perdettero la vita 27 persone, per lo più bambini tra i 6 e i 7 anni, il «New York Times» nel 2020 pubblicò un’inchiesta dalla quale risultò che i cittadini americani acquistarono in un solo mese circa due milioni di pistole. Dopo ogni attacco, la vendita subisce un’impennata.

Sotto l’amministrazione del presidente democratico Joe Biden, al potere da due anni, gli episodi di violenza armata sono stati 692 nel 2021 (1,8 al giorno), in crescita rispetto ai 610 del 2020 (1,6 al giorno). Il capo della Casa Bianca nel giugno scorso ha firmato la legge bipartisan che migliora i controlli sui precedenti penali per gli acquirenti di armi tra i 18 e i 21 anni, ha stanziato 750 milioni di dollari per aiutare gli Stati locali ad applicare le norme per tenere le armi lontane da persone ritenute una minaccia per se stesse o per gli altri, prevedendo anche programmi di intervento e finanziamenti per il trattamento della salute mentale. Ma in seguito all’opposizione della potente lobby delle armi, la nuova legge non interviene invece sulla vendita di fucili d’assalto né su di caricatori ad alta capacità.

Quando la violenza è sdoganata dalla politica è però difficile riportarla poi al controllo dello Stato. L’assalto al Congresso a Washington il 6 gennaio 2021 fu sostenuto da Donald Trump che non aveva riconosciuto l’esito delle elezioni presidenziali del novembre precedente. Lo stesso Trump difensore acritico delle lobby delle armi. L’America ha bisogno di pompieri, non di incendiari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA