Quell’Italia stizzita
da persone fragili

Il caso più recente è accaduto a Fiorentino, nel Lazio. A novembre un gruppo di famiglie con figli autistici prenota una vacanza per 40 persone a Capodanno, in un hotel-terme. La prenotazione viene accettata. Ma a ridosso della partenza per scrupolo un papà avvisa l’albergo: nel gruppo ci sono anche dieci ragazzi autistici. È in quel momento che scatta il rifiuto di accoglierli, motivato dal fatto che la struttura ha il numero chiuso per i bambini e che gli autistici avrebbero disturbato il veglione degli altri ospiti. I genitori hanno denunciato la struttura.

Non passa settimana senza che le cronache non segnalino casi di discriminazione o insulti verso persone con disabilità. Ancora pochi giorni fa in un piccolo comune in provincia di Vibo Valentia (Calabria) un gruppo di ragazzi down è stato deriso in una pizzeria da tre persone che erano sedute vicino a loro. Padre, madre e figlia hanno lasciato il locale dopo aver chiesto al gestore perché li avesse fatti entrare ed essersi lamentati con i camerieri. «Non si può mangiare, ci viene il vomito. Capisco che sono malati, ma addirittura portarli in pizzeria…Bisognerebbe lasciarli a casa» ha detto una delle donne.

A Milano è stata sospesa la licenza per un mese a un tassista dopo che aveva rifiutato una corsa considerata troppo breve a due passeggeri invalidi all’aeroporto di Malpensa. Nel marzo scorso a Cremona, su un edificio destinato ad ospitare la nuova sede di «Baskin», il basket che consente a normodotati e disabili di giocare insieme, e di un’associazione di teatro, è comparsa questa scritta: «E quindi? Una marea di handicappati qui, in via Cadore, che magari prendono pure i parcheggi riservati. Avete sbagliato via». La lista di fatti analoghi è vergognosamente lunga: ma fermiamoci qui.

Le persone con disabilità portano il fardello di malattie inguaribili e, come se non bastasse, si devono confrontare quotidianamente con barriere architettoniche e culturali, con una burocrazia invadente che si comporta da concessionaria di favori e non di diritti sanciti dalle leggi. Ma la loro diversità piena di umanità è una ricchezza, come ogni diversità. È uno specchio nel quale guardarsi, che rimanda alle fragilità di cui ognuno di noi è portatore, anche se non sempre consapevole: la sicurezza illusoria e confortevole di essere persone senza incrinature, difetti caratteriali o deficit affettivi.

Il papà di uno dei ragazzi autistici esclusi dall’hotel-terme ha parlato di «razzismo e pregiudizio». Razzismo può suonare come termine eccessivo ma l’esclusione e la discriminazione hanno riguardato un intero gruppo in quanto portatore di un malattia. C’è dell’altro: sicuramente l’ignoranza di chi non sa che le persone affette da autismo non arrecano disturbo, soprattutto se circondate dall’affetto di genitori e fratelli.

Viviamo un tempo non solo incattivito ma che ha fatto della perfezione dei corpi un feticcio. C’è chi prova stizza di fronte a un disabile, perché è fuori dagli schemi di un estetismo estremista. La cultura post-moderna nella quale viviamo poi ha nell’individualismo e nel diritto alla quiete solitaria e assoluta due dogmi, generando la crisi del concetto di comunità. Sono sorti ristoranti e alberghi vietati ai bambini che, al netto di eccessi e di genitori distratti nella cura dei figli, sono invece portatori di vivacità. E sono sempre più diffusi i cortili di condomini che riportano il cartello «Vietato giocare».

Chris Bradford, scrittore e autore cinematografico, ha detto che «disabilità non significa inabilità. Significa semplicemente adattabilità». L’adattabilità è la virtù che va ritrovata per uscire dalla torre d’avorio nella quale si sono rinchiuse tante esistenze, stizzite dalla diversità e dai suoni della vita.

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