(Foto di ansa)
Che la insensata polemica sul «complotto» del Quirinale contro il Governo sia uscita proprio nel giorno in cui le previsioni di crescita dell’Italia 2025 viene data in discesa allo 0,4%, quasi la metà di quelle ipotizzate a primavera, la dice lunga sul disordine delle priorità nazionali. Per fortuna, sempre nelle stesse ore, il Consiglio supremo di Difesa, presieduto da Mattarella, parlava di cose più serie, e cioè i rischi della guerra ibrida già in atto anche in Italia senza bisogno di carri armati e bombardamenti, ma con le armi della disinformazione, tipo appunto i complotti.
Di Sergio Mattarella resta impressa invece la più recente esternazione resa a Berlino domenica. Lì, ha affermato che «la guerra di aggressione è un crimine», una frase netta che pochi si possono permettere.
Davanti al Bundestag, cioè alla Germania di oggi opposta a quella di ieri, è stato emblematico scegliere una straordinaria citazione dl Robert Jackson, Procuratore del Processo di Norimberga: «Se riusciremo a imporre l’idea che la guerra di aggressione è la via più diretta per la cella di una prigione e non per la gloria, avremo fatto un passo per rendere la pace più sicura».
È allora lecito chiedersi se vi sarà in un futuro prossimo un Capo dello Stato italiano capace di essere altrettanto chiaro e ultimativo su temi di principio. Per eleggere il nuovo Presidente basterà, dal quarto scrutinio, la maggioranza assoluta. La previsione generale – politica, non matematica – è che il centrodestra potrà eleggere da solo il nuovo Presidente. Lo spirito della Costituzione, con i primi tre scrutini a maggioranza qualificata, dovrebbe spingere a cercare spazi di convergenza (su un esponente della Prima Repubblica come l’attuale Presidente?) ma è anche facile pensare che le pulsioni dei vincitori non saranno tanto accondiscendenti, e che sarà l’ideologia a guidare le scelte, non l’attuale capacità di compromesso e di realismo. Dopo un quinquennio in cui, per governare, le promesse elettorali sono state ribaltate, vi potrà essere insomma per paradosso un quinquennio in cui il voto potrà autorizzare anche quello che in campagna elettorale non sarà stato detto.
Sarebbe comunque davvero negativo disperdere l’esempio che Sergio Mattarella ha dato in questi anni. Nessuno si è espresso come lui con tanta chiarezza e capacità di interpretare il senso comune nazionale.
Sulla questione Ucraina, Giorgia Meloni è stata meritoriamente netta fin dall’inizio, ma Mattarella ha saputo dare in tutte le questioni connesse – pace, atlantismo, europeismo, multilateralismo – una sorta di interpretazione autentica contro ogni equivoco.
In termini costituzionali, il Presidente non ha formalmente margini di autonomia molto ampi rispetto alla posizione prevalente del Parlamento, ed è normale che in molte circostanze le sue esternazioni siano felpate e abbastanza generiche. Fortuna ha invece voluto che la crescente autorevolezza conquistata da Mattarella, abbia sempre più consentito questo linguaggio chiaro, che capiscono tutti. Concetti che non piacciono né ai tanti filoputiniani in giro per l’Europa e l’Italia, e neppure agli ammiratori di Netanyahu, ma anche concetti-chiave per chiarire tante contraddizioni che funestano la nostra politica estera sia a destra che a sinistra. Le reiterate dichiarazioni di Matteo Salvini, in puro stile populista, sulla contrapposizione tra le tasse dei lavoratori e pensionati italiani e le tangenti percepite dagli amici di Zelensky, fino a quando potranno conciliarsi con le coraggiose posizioni del ministro della Difesa Crosetto e la distrazione del ministro degli Esteri?
Dietro tutto questo c’è – è vero – il punto di forza/debolezza del centrodestra, compattissimo nelle decisioni formali e libero di rubarsi ogni giorno i voti con la demagogia, ma c’è anche qualcosa di non risolto: la percezione reale del rischio guerra in Europa, che proprio Mattarella ha evocato citando i dottor Stranamore che giocano con le bombe atomiche. La «stabilità» politica italiana è giustamente importante, ma è fatta anche di questo bilanciamento tra appetiti interni alle forze politiche e lungimiranza di chi rappresenta l’unità nazionale.
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