Referendum, dall’esito della chiamata alle urne tre scenari politici

ITALIA. In tutti i casi, le ripercussioni politiche del voto referendario saranno pesanti.

Non c’è bisogno di conoscere il responso dei referendum per affermare che sarà un verdetto soprattutto politico. Suggerisce questa previsione innanzitutto la sorte che lo strumento referendario ha avuto nella storia repubblicana. Tale forma di consultazione popolare è stata concepita, ed in effetti in molte occasioni ha funzionato, come un correttivo di democrazia diretta alla democrazia parlamentare, nella quale il cittadino elettore non decide, ma delega. Ha dato il meglio di sé quando è stata chiamata a sciogliere dei quesiti che si prestavano ad essere trattati con un secco sì o no. Così è stato quando si è trattato di scegliere tra monarchia e Repubblica, oppure di decidere sul divorzio, e ancora su aborto o nucleare. Il suo ruolo è cambiato quando si è ricorsi al referendum per questioni complesse. Queste per loro natura richiedono risposte complesse che sarebbe bene trattare non con l’accetta, ma con lima e cacciavite.

La conseguenza è stata duplice. Da un lato, ha disamorato gli elettori a questa forma di democrazia diretta. Dall’altro, ha invogliato opinione pubblica e politici a usarli come una clava per colpire l’avversario in modo indiretto quando nell’arena parlamentare si fatica a farlo. Ne è nata una lunga storia di referendum falliti per non aver raggiunto il quorum del 50% più uno, necessario perché siano dichiarati validi.

Negli anni Novanta

I casi più clamorosi sono stati i referendum sulla legge elettorale del 1991 e del 1993: l’uno relativo alle preferenze multiple, l’altro al maggioritario, quest’ultimo trascinato al successo dal popolarissimo referendum sul finanziamento pubblico dei partiti. Questioni per eccellenza complesse, che normalmente non scaldano i cuori degli elettori, anche perché riguardano una materia assai ostica. Invece, in tutti e due i casi, gli italiani corsero in massa a votare. Non mi si dirà che fossero divenuti tutti degli esperti di ingegneria istituzionale! Gli italiani si affollarono alle urne semplicemente perché Craxi, il politico divenuto emblema di Tangentopoli, aveva detto loro di andare al mare.

In termini meno drammatici, ha finito per connotarsi in modo politicamente spiccato anche l’appuntamento referendario di quest’oggi. Un po’ perché è diventata un’impresa proibitiva portare gli elettori alle urne; un po’ perché la sinistra ha bisogno di una prova di forza per rialzare il morale del proprio popolo; un po’ perché essa vuole rendersi portavoce dell’Italia afflitta da tante sofferenze sociali, la chiamata alle armi su quesiti relativi al lavoro è sembrata la giusta soluzione.

Tre esiti possibili

Politica è stata la chiamata alle armi, politica sarà la ricaduta del voto, di qualunque segno esso sia. Tre sono i possibili esiti. I votanti saranno ben al di sotto del 50% più uno degli aventi diritto? Sarebbe un colpo duro per l’opposizione, segnatamente per Schlein che si è intestata la sfida. I favorevoli all’abrogazione delle norme sottoposte al loro vaglio saranno più di 12.300.000, il numero con cui la destra ha vinto le ultime elezioni politiche? L’opposizione si ripromette di chiedere (con un ragionamento un po’ artato ) lo sfratto di Meloni da Palazzo Chigi, perché ormai ridotta a minoranza.

Gli italiani raccoglieranno in massa l’invito a bocciare le norme in vigore su lavoro e cittadinanza? Sarebbe il trionfo della linea di attacco frontale alla destra adottata dall’opposizione. Sarebbe al contempo una bocciatura sonora del governo che rischierebbe seriamente di mettere in discussione la prosecuzione della legislatura. In tutti i casi, le ripercussioni politiche del voto referendario saranno pesanti.

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