Referendum, nervi accesi e partita del quorum

ITALIA. Come ormai è prassi, quando si tratta di referendum la vera partita è sul quorum, ossia su quanti andranno a votare e se la loro partecipazione sarà almeno pari alla metà più uno degli aventi diritto. Se, come sempre più spesso è accaduto nella storia recente dei referendum, non si raggiungerà il «quorum», appunto, il referendum non avrà valore.

È per questo che i partiti di centrodestra (più Azione e Italia Viva) stanno a uno a uno prendendo posizione invitando gli elettori a starsene a casa. L’ultimo in ordine di tempo a parlare è stato lunedì 5 maggio Antonio Tajani che ha rivendicato la legittimità del non voto in quanto scelta politica. Come Tajani anche Salvini e Fratelli d’Italia hanno detto ai loro elettori che la cosa migliore è disertare le urne. Questo ha suscitato le più dure proteste delle opposizioni. Pd, Movimento Cinque Stelle, AVS trovano inaccettabile che un ministro come Tajani inviti all’astensionismo: «Aggrava la situazione della nostra democrazia che è già tanto malmessa» ha dichiarato Giuseppe Conte. «In un Paese in cui va a votare solo il 50% dell’elettorato chi è al governo deve incitare alla partecipazione democratica, non al contrario» ha tuonato Riccardo Magi, il radicale che ormai guida +Europa. Certo, la vera promotrice dei referendum, cioè la Cgil di Maurizio Landini, offrirà la sua collaudata macchina organizzativa per sostenere il referendum ma non sarà facile centrare l’obiettivo, neanche per quel che resta della poderosa macchina elettorale del fu partito comunista.

I cinque quesiti: Jobs Act e cittadinanza degli stranieri

I cinque quesiti vanno a toccare due nervi scopertissimi della politica italiana: il diritto di cittadinanza degli stranieri e il Jobs Act. Sul primo quesito, i proponenti vogliono che scenda da dieci a cinque anni il periodo di permanenza legale nel nostro Paese, trascorso il quale si potrà richiedere la cittadinanza italiana da trasmettere poi ai figli minorenni. Stiamo parlando di circa due milioni e mezzo di persone, e per nessuna ragione al mondo il centrodestra intende facilitare un più facile accesso alla cittadinanza. Viceversa la sinistra abbraccia con passione questa battaglia: se la vincesse, sarebbe un segnale politico talmente in controtendenza con quello che sta succedendo in Europa e nel mondo, da essere considerato sensazionale.

Quanto al ripristino del vecchio articolo 18 sulla «giusta causa di licenziamento» che fu sterilizzato dal governo Renzi, tutti ricorderanno le durissime battaglie all’interno del Pd tra l’allora presidente del Consiglio e il suo stesso partito, costretto a votare una riforma che violava un tabù della sinistra, sia politica che sindacale. Difficile pensare che l’elettorato moderato sia attratto da sirene così «di sinistra» e l’appello del centrodestra a non andare a votare cade su un terreno già preparato. C’è da immaginarsi dunque che la partecipazione al voto sarà di tipo militante: ma se non si allargherà oltre il perimetro «rosso», difficilmente raggiungerà il quorum.

Mass media e campagna elettorale

La sfortuna di Landini, Schlein, Fratoianni e altri è anche che la campagna referendaria si è mediaticamente battuta con notizie assolutamente preponderanti: la morte del Papa, il Conclave, i clamori di Trump, senza dimenticare le guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Nelle ultime settimane di referendum si è parlato pochissimo nei mezzi di comunicazione di massa. Per questo l’Autorità delle comunicazione ha chiesto ieri ai media di rimediare da qui all’8 e 9 giugno, la data del referendum. Sarà comunque un buona occasione per capire come sono gli umori dell’elettorato: la scarsa affluenza non sarebbe un bel segnale per la sinistra all’opposizione mentre il centrodestra potrebbe rivendicare a sé la capacità di interpretare gli orientamenti maggioritari degli italiani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA