Regionali e conflitti, campo largo al tramonto

IL COMMENTO. Il vento sardo continua a spirare - nonostante che i conteggi finali attribuiscano alla vincente Todde un margine ancor più ridotto sullo sconfitto Truzzu - e il centrosinistra spera che anche in Abruzzo si possa travolgere la maggioranza di centrodestra.

Quella che viene definita la roccaforte meloniana, presidiata saldamente dal fedelissimo governatore uscente Marsilio, secondo i sondaggi mostrerebbe più di una crepa, tant’è che il vantaggio si è già di molto ridotto, e sono in tanti a prevedere un’altra conclusione all’ultimo voto come a Cagliari. Vedremo: comunque Schlein, Conte, Fratojanni ma anche Renzi e Calenda sperano in una seconda vittoria, anzi meglio, sperano nella valanga che faccia precipitare a valle il consenso meloniano.

In effetti fra L’Aquila, Pescara e Teramo e Chieti i partiti dell’opposizione hanno costruito quasi miracolosamente un’amplissima coalizione a sostegno del professor Luciano D’Amico il quale, a differenza della Todde, non dovrà vedersela con il fuoco amico di un candidato di sinistra come Renato Soru. Però, i miracoli sembrano finire qui. Per ora altrove non si vedono accordi simili. Anzi, è tutto un distinguere, precisare, mettere paletti, porre veti. Come in Basilicata, dove all’incertezza della candidatura di centrodestra (l’uscente berlusconiano Bardi sì o no? Lo vuole Forza Italia ma non la Lega) fa da specchio una simile frattura in casa sinistra. I Pd, divisi tra Potenza e Roma, puntano su un esponente voluto da Andrea Orlando su cui M5S addirittura pone il veto: per fare l’alleanza con loro, i democratici devono cancellarlo e ricominciare daccapo, anzi pretendono che sia l’ex ministro Orlando a candidarsi in prima persona. Ma già qui il «campo» si frantuma: piuttosto che Orlando votiamo Bardi, provoca Renzi, chissà se una volta tanto in accordo con Calenda.

Il punto è che i due concorrenti Pd e M5S, in compagnia di SI-Verdi e centristi, non vanno d’accordo su un mucchio di cose. Soprattutto in politica estera, che oggi non è più un argomento di nicchia come un tempo: oggi è tutto molto più concreto, visto che si parla di guerre. E tanto per cambiare, sulla missione nel Mar Rosso anti-Houti (ma non si può dire così: bisogna scrivere «missione prevalentemente di difesa dagli attacchi degli estremisti sciiti dello Yemen chiamati Houti a tutela del commercio internazionale e degli interessi commerciali dell’Italia e dell’Europa») le posizioni sono le seguenti: Pd favorevole alla missione «difensiva» o «prevalentemente difensiva»; M5S sostanzialmente contrario ma formalmente astenuto; Renzi e Calenda spavaldamente favorevoli, Fratojanni, cocciutamente contrario come sempre quando si parla di missioni militari internazionali. Ognuno di loro tra Camera e Senato sta votando come gli pare.

E allo stesso modo si ritrovano profonde fratture sull’Ucraina: per Conte l’ulteriore invio di aiuti e armi a Zelensky è «insostenibile»; il Pd di Schlein, sia pure con qualche esitazione lessicale, è ancora favorevole. Per Fratojanni vedi sopra, idem per Renzi e Calenda. Infine sul conflitto tra Israele e i terroristi palestinesi di Hamas: le posizioni dei grillini di base sono sempre più marcatamente «free Palestine» mentre gli inviati della Schlein ai cortei vengono fischiati e cacciati (è successo alla «sardina» bolognese entrata nella segreteria del Pd).

Con queste premesse sul terreno delicatissimo della collocazione internazionale dell’Italia, si capisce quanto possa essere arduo trovare un accordo politico generale: il miracolo sardo potrebbe ripetersi in Abruzzo ma difficilmente - se non a costo di pesanti compromessi reciproci - potrebbe arrivare fino a Roma. In ogni caso, a decidere tutto saranno le percentuali delle elezioni europee di giugno…

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