
L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 13 Maggio 2025
Rezzara e Leone, pace senza tempo
MONDO. Sembra quasi che il tempo si sia fermato. Perché se si chiudono gli occhi, sembra quasi di ascoltare Leone XIII e Nicolò Rezzara, il Papa della «Rerum Novarum» e dei primi passi della dottrina sociale della Chiesa, e il protagonista indiscusso del cattolicesimo sociale di quel periodo, fondatore - tra l’altro - de L’Eco di Bergamo, il 1° Maggio del 1880.
Accade appena una manciata di minuti dopo l’ingresso in Aula Paolo VI di Papa Leone XIV, davanti al quale stanno alcune migliaia di giornalisti di ogni angolo del mondo, a cui il nuovo Pontefice ha dato udienza per il tradizionale saluto di inizio mandato. Cita l’evangelista Matteo - il Papa -, cita il «Discorso della montagna» e dice «Beati gli operatori di pace», una beatitudine che ci sfida tutti e che riguarda da vicino proprio i giornalisti, «chiamando ciascuno all’impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca dalla verità, dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla». Gli stessi pensieri che 145 anni fa, mese più mese meno, attraversavano la mente di Rezzara nello scrivere il «Programma» a cui «L’Eco di Bergamo» si sarebbe attenuto.
«Affatto alieno da ogni interesse personale, da ogni ignobile gara - scriveva “La Direzione” nel primo numero dato alle stampe -, il giornale tiene per propria divisa e per proprio programma la verità, e però la bandirà altamente guardandosi bene dal disconoscerla o travisarla o celarla vilmente. L’Eco schiferà di aver briga con chicchesia; ma siccome è pur troppo facile che non gli manchino ostacoli e contraddizioni, così non dubita di affermare fino da ora che a superare quelli non risparmierà fatica, a vincere queste si studierà di usare fortezza e pazienza, con quell’onesta franchezza, che viene ispirata dalla Fede e da sincere e profonde convinzioni, maturate da lunga e penosa prova».
Comunicazione come strumento di pace
Un’impresa - quella cominciata da L’Eco in un sabato dal cielo «torbido», quando vide la luce per la prima volta - «benedetta da Leone XIII», e proseguita «dietro la scorta de’ i suoi insegnamenti», quelli che Papa Pecci aveva riassunto il 22 febbraio del 1879 in un discorso rivolto ai «pubblicisti cattolici». Da allora - pur adeguandosi al passare degli anni – L’Eco è rimasto fedele al suo «Programma» e a quegli stessi principi, identici nella sostanza, seppur rivisitati in chiave moderna, a quelli ricordati ieri da Papa Leone XIV ai rappresentanti dei media internazionali. Una comunicazione che deve necessariamente diventare uno strumento di pace: solo «una comunicazione disarmata e disarmante» (le caratteristiche date alla pace dal nuovo Pontefice nel suo primo saluto al mondo) consente di avere uno sguardo diverso sul mondo per poter agire in modo coerente «con la nostra dignità umana». L’Uomo, dunque, e la sua dignità al centro dell’agire di ogni uomo, anche quando fa informazione, specialmente se si tratta di raccontare la guerra e le speranze di pace, l’ingiustizia o la povertà, «il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore».
Leone XIV lo sa bene, viviamo tempi difficili da vivere e da raccontare, una vera sfida per l’umanità intera, dalla quale - però - nessuno può chiamarsi fuori, né tanto meno affidarsi alla mediocrità. Del resto, come sottolinea il Pontefice, non possono esserci una comunicazione e un giornalismo «fuori dal tempo e dalla storia». «Viviamo bene - dice Leone citando Sant’Agostino - e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». Ma «i tempi» vanno raccontati con saggezza, con discernimento, separando il grano dal loglio, il bene dal male, evitando di farsi travolgere dai «tempi» di questo tempo.
L’enorme responsabilità di chi scrive
Il Papa lo dice senza mezzi termini: «Oggi una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi». Ecco perché la responsabilità di chi scrive, oggi più che mai, è davvero enorme, perché dalle parole utilizzate, dallo stile e dal tono con cui vengono scritte o pronunciate dipende spesso il futuro di molte cose, di molte persone, a volte della loro stessa vita. «La comunicazione - ammonisce il Papa - è creazione di cultura, di ambienti umani e digitali, che diventano spazi di dialogo e di confronto». Servono responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, una sfida che l’Intelligenza Artificiale sta lanciando in questi mesi a ciascuno di noi, chiamato «in proporzione all’età e ai ruoli sociali», a raccoglierla con sensatezza.
La pace comincia in ciascuno di noi
La comunicazione come strumento di pace, perché «la pace comincia da ciascuno di noi, dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e in questo senso il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra». Un discorso estremamente logico quello di Leone XIV, che arriva direttamente al nocciolo della questione ricordando le parole di Francesco: «Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività». Che oggi, purtroppo, riempie giornali e televisioni di tutto il mondo, Italia compresa, ogni giorno.
E così torniamo all’inizio della nostra storia, sulle orme di Nicolò Rezzara e del suo «braccio armato» (in senso figurato, s’intende) Giovanni Battista Caironi, il primo direttore de L’Eco. Ci pare quasi di ascoltarli ancora sentendo l’invito di Leone XIV: «Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra». In un mondo vorace di cattiverie, notizie false e stupidi pettegolezzi è difficile credere che ciò possa avvenire, ma Leone XIV ha ragione: la pace comincia da ognuno di noi. Ricordiamocelo, sapendo che se i primi operatori di pace saremo noi, non solo staremo bene con noi stessi (e con la nostra coscienza), ma faremo star bene anche gli altri.
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