Riforma giustizia
Renzi in agguato

La cosiddetta «seconda fase» del governo Conte2 non decolla. Il cronoprogramma da qui a chissà quando, che si vorrebbe varare dopo il voto in Emilia Romagna e la mancata spallata di Salvini a Palazzo Chigi, non si vede e chissà se mai verrà alla luce. Tutto – almeno in apparenza – è bloccato dalla riforma della prescrizione targata Bonafede, il ministro Guardasigilli. Quella riforma non piace al Pd, che però sembra farsene una ragione; non piace all’opposizione di centrodestra; non piace a giudici e avvocati, tanto che all’inaugurazione dell’anno giudiziario Bonafede si è dovuto ascoltare una dura reprimenda (con applauso) del primo presidente della Corte di Cassazione che ha evocato «il disastro» del sistema. Pressappoco quello che aveva detto già tempo fa Giulia Bongiorno: «Un terremoto».

Insomma, in pratica la riforma piace solo al ministro e ai grillini. Che sembrano disposti a qualche concessione ma piccola, quel tanto che potrebbe bastare al Pd. Ma non a Renzi che, cogliendo la palla al balzo, ha deciso di fare come Ghino di Tacco dei bei tempi andati: «Di qui non si passa». «O fate marcia indietro sulla riforma, o noi non la votiamo, e senza di noi non avete la maggioranza al Senato, forse neanche alla Camera»: questo è stato l’ultimatum lanciato dall’ex premier tra gli applausi dei suoi alla convention di Cinecittà.

L’avvertimento è serio. Non è catalogabile, come subito hanno fatto le «voci» del Palazzo, come un modo per ottenere di più sul piano delle nomine nelle società pubbliche che hanno gli organi societari in scadenza (Eni, Enel, Finmeccanica, Cdp, ecc.). No, c’è qualcosa di più: Renzi gioca una partita più grossa. Dicono che voglia la testa di Conte o un rimpasto nel governo. Dicono che punti ad assorbire parlamentari di Forza Italia - partito in profonda crisi che vede i consensi scivolare via senza sosta – ammantandosi di temi a loro da sempre cari. Dicono tante cose. Difficile sapere quale è vera.

Però c’è un fatto: senza i voti di Renzi la riforma si ferma. Viceversa, con i suoi voti potrebbe riuscire il colpaccio di cancellarla del tutto: Renzi potrebbe votare con tutto il centrodestra l’ordine del giorno dell’ex ministro Costa (FI) che, appunto, la abroga. Renzi ne presenta un altro, di ordine del giorno, che si limita a rinviare la legge di un anno. Escluso invece che passi la mediazione che ha provato Conte, di un aggiustamento della prescrizione a seconda del tipo di sentenza in primo grado. Insomma, se non si supera questo scoglio, la benedetta seconda fase non parte. Più rallenta però, più cresce nella coalizione il disagio che sembra aver già sostituito l’entusiasmo piddino per il voto emiliano. I 5S si stanno sgretolando in mille correnti e non si capisce più chi comandi, se Di Maio che manovra dietro le quinte o altri. Di sicuro non il reggente Vito Crimi che pure si atteggia a leader. Di Battista promette che tornerà presto dall’Iran con una idea nuova: «Ho studiato tanto», giura. A Roma invece Roberta Lombardi, ex capogruppo, vuole stabilizzare l’asse col Pd («Parliamo la stessa lingua», sostiene, ed è la stessa persona che nel 2013 ridicolizzò in streaming il povero Bersani che proponeva un qualche accordo). E, come la Lombardi, ci sono tanti grillini locali che entrano nelle giunte di centrosinistra e fanno marameo a Crimi che li scomunica. Contemporaneamente c’è tutto un gruppo di pentastellati fedeli a Di Maio che continua a guardare a destra. Come se ne uscirà? Nessuno lo sa. È improbabile per mille ragioni che si vada a votare in tempi brevi. Ma da qui a quando sarà, questa legislatura promette di non farci annoiare.

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