Riforma presidenziale, gli obiettivi della premier

Politica interna. Come più volte ribadito nel corso della campagna elettorale, anche nel suo discorso al Parlamento la premier Giorgia Meloni ha dato grande risalto alla necessità di riformare i poteri e le modalità di elezione del Capo dello Stato.

Si è poi soffermata a lungo su questo tema nel corso della conferenza stampa di fine anno dichiarando: «Il presidenzialismo è una delle mie priorità ed è un obiettivo a cui tengo particolarmente perché sono certa che faccia bene all’Italia una riforma che consenta di avere stabilità e governi frutto dell’indicazione popolare». Ha inoltre indicato il metodo per realizzarlo: «Vorrei fare una riforma il più possibile condivisa. Non ho pregiudizi e preclusioni. La bicamerale è utile se c’è la volontà, non se ha scopi dilatori; non sono così sprovveduta dal non capire le eventuali mosse dell’opposizione». Pur preferendo il presidenzialismo, si è comunque dichiarata disponibile a discutere sulla possibile scelta di altri modelli, aprendo all’ipotesi di un «semipresidenzialismo alla francese», che ha già ottenuto in passato un ampio gradimento anche da parte del centrosinistra.

Punto centrale di questa forma di governo è che i rispettivi ruoli del doppio esecutivo - Capo dello Stato e Capo del Governo - sono complementari. Il Capo di Stato sostiene la legittimità popolare e rappresenta la continuità di Stato e Nazione, mentre il Capo di Governo esercita la leadership politica e assume la responsabilità delle funzioni quotidiane del Governo. Secondo alcune indiscrezioni mediatiche, la premier starebbe già lavorando a una commissione bicamerale piuttosto snella, composta da quindici-venti parlamentari, presieduta da Marcello Pera, che potrebbe presentare una soluzione concordata entro un anno.

Su una riforma di tipo presidenziale sono state da subito manifestate totali indisponibilità ad una discussione da parte del PD e del M5S. Enrico Letta ha giudicato l’iniziativa di Giorgia Meloni soprattutto come «un attacco al presidente Mattarella», avendo l’obiettivo di farlo decadere dall’incarico prima del termine del mandato. Giuseppe Conte ha, invece, intravisto l’intendimento di preparare le condizioni per realizzare un regime autoritario. Qualche apertura a un dialogo è invece stata manifestata dal terzo polo, anche se Matteo Renzi ha dichiarato che l’obiettivo della stabilità dei governi, certamente molto importante, può essere più semplicemente raggiunto con una nuova legge elettorale del tipo di quella adottata per l’elezione dei sindaci. La stessa maggioranza si è mostrata tutt’altro che compatta nel sostenere la linea della premier. Per conto di Forza Italia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, già presidente del Senato, ha iniziato consultazioni con i partiti della maggioranza alla ricerca di un documento condiviso. Nella Lega, il presidenzialismo e, soprattutto, l’eventuale ricorso a una commissione bicamerale per realizzare la riforma costituzionale, trovano non poche resistenze. Roberto Calderoli considera come obiettivo primario e urgente quello di realizzare l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, che può essere definita con una legge ordinaria. Circa l’eventuale costituzione di una commissione bicamerale ha dichiarato: «Nella mia storia parlamentare fatta di nove legislature non ho mai visto una Bicamerale conclusa con successo. Se tu non vuoi fare una cosa, fai una commissione ad hoc; se non vuoi farla del tutto, fai una Bicamerale e perderai ancora più tempo». Il suo riferimento è al fallimento delle bicamerali Bozzi (1983), De Mita - Iotti (1992) e D’Alema (1997).

La premier, che nutre non poche perplessità sull’autonomia differenziata, resta ferma nell’idea che quest’ultima debba essere portare avanti contemporaneamente al presidenzialismo e ad altre riforme strutturali (pubblica amministrazione, giustizia, fisco ecc.), che siano in grado di cambiare alle radici l’organizzazione dello Stato. Spostare l’attenzione principalmente su questi temi di alto profilo potrebbe anche rappresentare un’abile mossa per ridimensionare le pressioni politiche e sindacali su pressanti problemi del momento, rappresentati dall’alto livello raggiunto dall’inflazione, dall’aumento dei prezzi dei beni di largo consumo e dai costi di energia e carburanti.

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