Schiavi moderni
La dignità ferita

Si chiamava Camara Fantamadi, aveva 27 anni ed era arrivato da poco in Puglia dal Mali. Lavorava la terra nel Brindisino per 6 euro all’ora. In un venerdì del giugno scorso, mentre era nei campi, gli girava forte la testa, dopo 4 ore piegato a zappare sotto un sole a 40 gradi. Impossibile continuare: aveva allora deciso di rincasare con la sua bicicletta ma durante il viaggio un infarto gli è stato fatale. Nella settimana precedente altri due braccianti stranieri erano morti sotto l’ondata di calore. La Regione aveva quindi deciso di vietare l’attività nei campi tra le 12,30 e le 16. Un provvedimento facile ma che non è andato a fondo di quei decessi: divieto di soste e di dissetarsi durante il lavoro, residenze-baracche prive dei servizi essenziali. E una paga da fame, che non corrisponde alla fatica. Succede nel Sud Italia, ma non solo lì.

A Pinerolo, hanno denunciato i sindacati nei giorni scorsi, un agricoltore propone «contratti» a condizione di caporalato ma con discriminazioni razziali: «Se sei bianco la tua paga è di sette euro l’ora, se sei nero sei». A Bari l’altro giorno un imprenditore agricolo è stato interdetto dalla sua attività per un anno e gli sono stati sequestrati 64 mila euro in contanti. A un dipendente che rivendicava condizioni di lavoro umane e paga più alta, gli ha rivolto una minaccia: «Vado a casa tua in Pakistan e ti faccio vedere che fine fanno i tuoi figli». Alle dipendenze aveva molti braccianti, ascoltati dagli investigatori, uomini e donne fra i 44 e i 23 anni, originari anche di Senegal, Gambia, Romania e Somalia: dava loro tra i 3 euro e 57 centesimi ai 4 euro e 28 centesimi l’ora, per lavorare dalle 7 alle 19. I migranti irregolari sono ricattabili ma i romeni sono cittadini dell’Unione europea.

Secondo le stime dell’Associazione italiana delle agenzie per il lavoro, sono 400 mila le persone coinvolte nel caporalato in Italia. L’80% stranieri e ricevono un salario giornaliero che ammonta a circa la metà di quello stabilito dai contratti nazionali. Il fenomeno è più diffuso nel Mezzogiorno, ma è in aumento appunto anche nel Nord e nel Centro. I distretti agricoli in cui si pratica il caporalato sono 80. Di questi, in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro indecenti e in 22 di grave sfruttamento. Almeno in 100 mila soffrono un disagio abitativo. Il 72% ha malattie che prima dell’inizio della stagione lavorativa non si erano manifestate, il 64% non ha accesso all’acqua corrente, il 62% dei braccianti immigrati impegnati nelle stagionalità agricole non ha accesso ai servizi igienici. Secondo i dati, presentati a Palazzo Chigi, il caporalato però produce un danno anche alla nostra comunità nazionale, stimato in 600 milioni di euro all’anno: è l’ammontare del mancato gettito contributivo. Il settore agricolo è quello dove si registra la maggiore incidenza dell’economia sommersa. Ma non è il solo, c’è anche l’edilizia. Aboubakar Soumahoro, presidente della Lega dei braccianti, gira nei campi e ascolta le vittime: «Ci raccontano storie da brividi. Troviamo lavoratori che a fronte di 20 giorni di lavoro effettuati si ritrovano 3 o 4 giornate dichiarate all’Inps. Questo vuol dire che non avranno i requisiti per chiedere la disoccupazione agricola. Eppure, rispetto alle 6 ore e mezza di impiego pattuite, ne fanno il doppio e con una paga inferiore. Le donne sono doppiamente discriminate».

Per contrastare questa piaga fu pensata la legge 199 del 2016 (o legge Martina, dal cognome dell’allora ministro dell’Agricoltura, bergamasco) che estende responsabilità e sanzioni sia per i caporali sia per gli imprenditori che ricorrono alla loro intermediazione. La legge ha introdotto nuovi strumenti penali come la confisca dei beni (pratica che avveniva verso le organizzazioni mafiose) e l’arresto in flagranza. È suddivisa in dodici articoli e due sezioni: una repressiva e l’altra preventiva. Quella repressiva inasprisce le pene per chi sfrutta manodopera in stato di bisogno, mentre quella preventiva mira a valorizzare le imprese in regola. Ma il problema sono i controlli carenti.

A metà agosto scorso, Papa Francesco, rispondendo allo scrittore Maurizio Maggiani che gli aveva rivolto una lettera contro il caporalato in un’azienda grafica, usò queste parole: «In gioco c’è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene troppo spesso e facilmente calpestata con il “lavoro schiavo”, nel silenzio complice e assordante di molti». Fanno rumore i reati commessi da migranti, quelli di cui sono vittime no.

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