Se la giustizia formale puzza di ingiustizia

La giustizia francese ha negato l’estradizione a dieci ex terroristi rossi italiani, macchiatisi di reati di sangue e riparati oltralpe, dove hanno potuto rifarsi una vita a piede libero all’ombra della dottrina Mitterrand. Tra questi c’è il bergamasco Narciso Manenti, all’epoca militante dei Nuclei armati per il contropotere territoriale e ora elettricista 64enne, che nel 1984 aveva rimediato la condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio del carabiniere Giuseppe Gurrieri, ammazzato in Città Alta nel 1979 davanti al figlioletto di nove anni.

È innegabile che qui in Italia, dove quei delitti sono stati perpetrati e dove è scorso il sangue delle vittime, i più l’abbiano vissuta come un’ingiustizia, al limite dell’oltraggioso se si pensa che un Paese dell’Ue non ha riconosciuto quello che un altro Paese Ue ritiene un diritto. E ci si indigna (giustamente) se si sceglie di ragionare per immagini contrapposte. Da una parte un carabiniere che, pur disarmato, reagisce all’irruzione dei terroristi in uno studio medico e viene ammazzato come un cane sotto gli occhi di un bambino che da lì in poi sarà costretto a crescere senza padre. Dall’altra assassini che l’hanno sfangata grazie a una comoda fuga e continuano a prosperare in una zona franca senza doversi nemmeno nascondere, spesso protetti e legittimati da una vaporosa schiera di intellò.

Ma sarebbe fuorviante, oltre che patetico, buttarla in orgoglio nazionale o abbandonarsi a istinti da tifoseria, tipo Curva Nord contro Curva Sud. Perché attorno al verdetto della Chambre de l’Instruction della Corte d’appello di Parigi ruotano temi delicati, che entrano in conflitto fra di loro e un po’ brutalmente possono essere convogliati nel concetto «Summum ius summa iniuria», il sommo diritto è somma ingiustizia. I giudici transalpini hanno ragionato in punto di diritto, richiamandosi a due articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: quello sul rispetto della vita privata e familiare e, soprattutto, quello sul rispetto del giudizio di contumacia. In Francia un criminale che viene arrestato o si costituisce ha titolo per un processo d’appello anche se la sentenza è passata in giudicato, di modo che possa difendersi in presenza. In Italia non funziona così: è sufficiente che l’imputato irreperibile sia a conoscenza (diretta o tramite il difensore) dell’esistenza del processo a suo carico. La fuga qui da noi è invece letta come ammissione di colpa (intendiamoci: nella stragrande maggioranza dei casi, a ragione). I giudici francesi hanno considerato un vulnus, questa mancanza di garanzia della nostra giustizia, e hanno pronunciato il loro no alla riconsegna dei dieci ex terroristi.

Il garantismo è sacrosanto, ci mancherebbe, ma a volte dà l’impressione di spalancare le porte all’impunità. Perché - e qui arriviamo al secondo tema - se da una parte c’è l’applicazione teorica del diritto, dall’altra c’è la richiesta materiale di giustizia, che arriva soprattutto da chi da quei fatti s’è visto portare via affetti e sconvolgere la vita. Nell’inchiostro dei codici e negli anfratti dei cavilli si muove una giustizia che a volte puzza di ingiusto agli occhi di chi ha subito un sopruso. E il verdetto francese di ieri assomiglia molto a quelle assoluzioni per vizio di forma che si lasciano dietro una scia di amarezze e di torti.

Gli anni di piombo sono alle spalle, il terrorismo politico sconfitto e questi dieci attempati signori sono senz’altro altre persone rispetto ai ventenni che impugnavano le pistole per affermare i loro deliri ideologici, e tutto ciò - siamo al terzo tema - andrebbe tenuto in considerazione. Ma a farlo dovrebbe essere la giustizia italiana, che a quelle vicende ha dedicato anni di indagini, centinaia di udienze processuali, migliaia di pagine di atti. Sostiene qualche illuminato che la Francia con la dottrina Mitterrand è riuscita laddove il carcere il più delle volte fallisce: restituire alla società individui nuovi, riabilitati. Lo dice anche la nostra Costituzione. Il problema è che qui tutti hanno scansato il percorso canonico, quello che passa per l’espiazione della pena. Il problema è che qui qualcuno non ha nemmeno provato pentimento per quello che ha fatto. È questo ciò che affligge maggiormente in questa storia, per di più sapendo che le vittime indirette di quei crimini non hanno mai chiesto vendetta, solo giustizia.

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