Se la politica trasforma tutto in zuffa a prescindere

ITALIA. Due storie corrono parallele nella politica italiana ad alimentare un furioso fuoco di artiglieria dall’uno all’altro campo.

La storia del sindaco di Bari Antonio Decaro, sindaco anti-mafia messo in difficoltà dall’antimafia medesima, e quella di Daniela Santanchè, ministra del Turismo, a rischio di rinvio a giudizio per truffa allo Stato. Due storie diverse, si dirà, e con ragione; soprattutto due vicende giudiziarie che non sono paragonabili dal momento che la prima non è neanche cominciata. Eppure è come se lo fosse. Basta ascoltare il suono delle parole d’accusa che si lanciano dall’una all’altra trincea: «sciogliete il Comune infiltrato dalla mafia!» si ascolta da un lato; «si dimetta oggi stesso, ora, subito la Santanchè!», echeggia dall’altro. Qualunque sia il merito delle questioni, è la zuffa politica che macina tutto: siamo vicinissimi alle elezioni europee di giugno, e non si va più per il sottile, chi mena prima mena due volte.

Decaro, in realtà, è stato messo nei guai soprattutto dal tonitruante governatore della Regione Michele Emiliano che di fronte a mezza città di Bari corsa in piazza a difendere il «suo» sindaco dalle ispezioni dei commissari mandati da Piantedosi a vedere se non sia il caso di sciogliere il Comune per mafia, ha deciso di spararla grossa e ha raccontato di aver portato tanti anni fa l’allora suo giovane assessore Decaro a casa della sorella di un boss della Bari vecchia a dirle: «Se lui ti chiede un bicchiere d’acqua, tu daglielo».

Una bufera, si può immaginare. Emiliano si è rimangiato, tutto, Decaro ha smentito, e pure l’interessata ha negato («Mai stati qui, quei due»). Ma nel frattempo la frittata era fatta: allargata poi dalla pubblicazione sui giornali della foto di un’altra sorella – sono undici in tutto - dello stesso boss abbracciata al sindaco insieme a sua nipote in una foto ricordo durante la festa di San Nicola. Anche qui, bufera, smentite, arrabbiature, minacce di querela: trattasi sì di parenti di mafiosi, ma incensurate.

Insomma, oggi Decaro si sarebbe potuto godere il calore della folla adorante e invece è alle prese con un pasticcio creato da Emiliano e da un selfie di troppo. La sinistra s’indigna, la destra s’alza in piedi e chiede, a questo punto, l’immediato scioglimento del Comune: «Avevamo ragione a sospettare» dichiara Francesco Paolo Sisto, avvocato berlusconiano e viceministro della Giustizia che ringrazia Piantedosi per aver mandato i commissari: «Le polemiche contro il ministro dell’Interno? Vergognose – trancia Giorgia Meloni – ha fatto solo il suo dovere con imparzialità».

«E allora la Santanchè?» sibila rapida la pallottola del campo avversario, che se la prende con un nuovo tormentone giudiziario che riguarda la ministra, una storia di compravendita della villa al mare del defunto sociologo Alberoni passata di mano nel giro di ventiquattr’ore procurando – pare – un guadagno su cui la procura di Milano ha deciso di indagare. Per la Santanchè il rischio, dicono i frequentatori di palazzi giudiziari, è che le piombi addosso un rinvio a giudizio, cosa che la costringerebbe alle dimissioni, essendo lei un membro del governo. Se dipendesse dal Pd e dal M5S, lei già da un pezzo avrebbe dovuto lasciare la poltrona e sparire, ma la sua strenua resistenza finora l’ha protetta.

Con lei l’opposizione fa pari e patta con il caso Decaro, ma in questo caso ha una carta in più: qualche tempo fa il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, come tutti sanno assai vicino alla premier Giorgia Meloni, ha detto con apparente neutralità: «Se arrivasse un rinvio a giudizio, la stessa Santanchè ha anticipato che darebbe le dimissioni». Più che una constatazione è sembrato a tutti un invito, e anche piuttosto innervosito.

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