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MONDO. Quando un Papa, scandendo le parole, dice che la terra, la casa e il lavoro sono «diritti sacri» schiera la Chiesa al cuore delle crisi del mondo.
Quando un Papa, scandendo le parole, dice che la terra, la casa e il lavoro sono «diritti sacri» schiera la Chiesa al cuore delle crisi del mondo. Era il giorno della visita di Sua Maestà britannica, protocollo anche spirituale di altissimo profilo. Ma quel giorno della scorsa settimana dovrà essere ricordato anche come quello che ha definito il Pontificato con un appello mai così forte ad un cambio di passo dell’umanità. Leone ha parlato ai Movimenti popolari, quinto incontro in Vaticano di coloro che non hanno voce e a cui Bergoglio ha restituito la parola inventando per loro la Davos dei poveri, creatività della giustizia sociale davanti alle distorsioni della storia, della memoria, della vita.
Imprimere il sigillo del «diritto sacro» sulle questioni che rendono la vita difficile a milioni di persone non solo significa indicare che la misura del male del mondo è ormai colma. Dalle parole di Leone affiora la necessità di un’azione più incisiva contro l’iniquità che oggi ha molteplici forme e molti burattinai. Non è solo una benedizione quella che ha dato Prevost ai Movimenti popolari e non è solo il prosieguo di ciò che ha fatto il suo predecessore. Leone è andato oltre e ormai la Davos dei poveri ha preso forma istituzionale come luogo di elaborazione di una dottrina sociale che continua ad occuparsi delle «cose nuove».
Quando per la prima volta Francesco li invitò in Vaticano molti si stupirono e perfino si indignarono. C’erano il Leoncavallo, gli indiani metropolitani, Casarin e i disobbedienti, cattolici radicali al limite dell’ortodossia e movimentisti senza guida al limite, per molti, della legge. Bergoglio venne accusato di essere comunista, ma lui sempre ha replicato che si trattava di Vangelo. L’elezione di Leone XIV aveva fatto sperare in alcuni che qualcosa si sarebbe archiviato. Il meeting vaticano dei Movimenti popolari ha smentito il passo indietro e non ha affatto mitigato quelle che sono state giudicate le intemperanze di Bergoglio. L’inizio di Leone coglie tutte le conseguenze di Francesco, anzi va oltre con l’indicazione di un programma preciso e con parole che rafforzano la «Dilexi te» dove già citava l’azione strategica radicale e radicata nel cuore del Vangelo dei Movimenti popolari: «Facendo eco alle richieste di Francesco oggi dico: la terra, la casa e il lavoro sono diritti sacri, vale la pena di lottare per essi, e voglio che mi sentiate dire “ci sto!”, sono con voi!».
I Movimenti popolari sono partiti in processione da uno stabile occupato di Roma diventato un cantiere di rigenerazione urbana e di idee bollate come antagoniste. Ma oltre un secolo fa i cattolici della dottrina sociale fecero esattamente la stessa cosa. Elaboravano «cose nuove» e antagoniste, finché un Papa, Leone XIII, mise tutto in ordine nella Dottrina Sociale. Oggi siamo ancora lì. Leone ha messo in fila drammi senza alcuna moderazione nel linguaggio: migranti come «spazzatura» e popoli «derubati». Né ha avuto alcun indugio a denunciare le narrazioni tossiche di leader feroci, politici ed economici, che stravolgono la dignità delle persone «private di ciò che è necessario e sommerse di ciò che è accessorio». Ha avuto perfino il coraggio di scagliarsi contro Big-Pharma e le sue «ambiguità» che per profitto uccidono migliaia di persone con le droghe dei poveri come il fentanyl, di cui il Papa americano ben conosce le tragiche conseguenze.
I Movimenti popolari possono scuotere coscienze proprio come fecero i sindacati al tempo della Rerum Novarum, che Leone XIII approvò e sostenne, scelta scandalosa per gli oligarchi tecnologici di allora. Ora Leone XIV continua la lezione, perché gli oligarchi hanno solo cambiato nome.
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