Tifo, non solo violenza: l’emergenza è il crimine

Sport. Di massima severità, di giri di vite, di parole indignate, di «ora basta», di tutto il campionario medio di politici, ministri, prefetti, presidenti di Leghe e Federazioni, di comunicati delle società che condannano ma non troppo, di tutta questa roba traboccano gli archivi di giornali, siti, agenzie.

Parole che venivano dette negli anni ’80, quando le tifoserie se le suonavano di santa ragione dentro gli stadi, e la celere ci dava di manganello. Quando il settore ospiti era ovunque e un cazzotto te lo potevi prendere anche te, che eri lì vicino, anche se lontano anni luce da quelle logiche para-tribali. Erano i tempi in cui il posto assegnato non esisteva, in cui le capienze erano opinioni e la calca la regola. I rischi, oggettivi. Erano i tempi del «mito» degli hooligans, tempi che forse finirono nella tragedia dell’Heysel. Quei morti, quella notte, costrinsero il mondo ad aprire gli occhi sul tifo violento, sull’odio per il proprio simile, diverso anche se solo nei colori di una maglietta.

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